Sarasin: l'acquacoltura è un rischio. ma il drago è pulito.

La Cina comincia a dare lezioni di sostenibilità al mondo. Che il Paese del Drago, impegnato ad affrontare una crescita economica intensa, ma piena di contrasti e contraddizioni, possa vantare una leadership "sostenibile", può sembrare ad alcuni quanto meno sorprendente. Eppure è così, almeno per quanto riguarda il settore della acquacoltura, ovvero l'allevamento industriale in acqua dolce e salata di pesci, molluschi, crostacei. E attenzione a non sottovalutare l'importanza di questo primato cinese.

Questo settore non è affatto un comparto secondario nell'economia mondiale. Il cosiddetto "fish farming" risulta ormai essere il mercato di proteine animali col più alto tasso di crescita al mondo, ben più forte quindi di quello della carne e dei latticini. La pesca libera a livello planetario ha raggiunto il suo punto massimo già da diversi anni e l'acquacoltura sta parallelamente espandendosi per compensare il gap tra domanda e offerta. Ma quanto realmente rispetta i criteri di sostenibilità questa forte crescita?

Una risposta autorevole arriva dal Sustainability Spotlight redatto da Bank Sarasin, che analizza anche i rischi associati al "fish farming". Uno dei punti più delicati è il fatto che il cibo utilizzato per nutrire i pesci d'allevamento deriva da pesci cresciuti liberi. Non solo. Esiste il problema di un parallelo uso intenso di antibiotici e ormoni della crescita. Dunque l'attenzione all'ambiente e alla salute deve essere altissima. Non è però così per tutti i protagonisti del settore. C'è però chi eccelle. È, appunto, il caso della cinese Dalian Zhangzidao Fishery Group, una delle poche società ad avere sviluppato un approccio attivo all'acquacoltura integrata, riuscendo in questo modo ad affrontare il boom della domanda senza trascurare i corretti principi della sostenibilità del business.

D'altronde i numeri dell'espansione del settore sono impressionanti. Basti pensare, ad esempio, che oggi in un Paese poco portato per ragioni storiche e geografiche a spingere i consumi ittici come la Svizzera vengono consumati a testa ben 9,3 kilogrammi di pesce e prodotti ittici. Il 50% in più del 1988. E c'è di più. Gli esperti stimano che, se il tasso di cattura di pesce selvaggio rimarrà lo stesso, gli oceani finiranno senza più pesce entro il 2050. Uno scenario da incubo. Che implica che l'unica soluzione possibile e logica sia l'acquacoltura.

Come detto, però, anche in questo campo iniziano a emergere problemi. I pesci allevati in cattività, appunto, vengono nutriti da cibo che per il 60% deriva da pesci e crostacei cresciuti liberi in natura. Dunque esiste una relazione pericolosa tra acquacoltura e consumo intenso delle risorse ittiche dei mari. L'altro tema delicato nell'approccio sostenibile all'acquacoltura è rappresentato dall'utilizzo di antibiotici e altri farmaci nell'alimentazione, e in molti casi anche di ormoni della crescita. Sono tutti ingredienti critici che costringeranno tutto il settore produttivo ad affrontare crescenti vincoli normativi e più alti costi come effetto dei necessari e conseguenti processi di controllo. Il risultato di questo scenario molto critico per il futuro del fish farming? La necessità di una chiara strategia di sostenibilità per tutte le società del settore. Un approccio che in diverse aziende nel mondo è ancora solo a livello di embrione.

Paolo Fabbri

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