L'articolo di questa settimana per la raccolta che stiamo curando in collaborazione con il Master Promotori del Dono dell'Università dell'Insubria, ci presenta un'interessante riflessione sul perché è importante oggi avere una maggiore consapevolezza del dono, anche per tenere insieme il tessuto sociale. Ce ne parla il Prof. Lorenzo Biagi.

In questi ‘tempi bui’, come li definiva più di mezzo secolo fa Hanna Arendt, è più immediato farci domande sul perché gli esseri umani si prestino così facilmente a massacrarsi tra di loro, a mandare in frantumi alleanze, amicizie, legami, a imboccare il vicolo cieco e mortale della violenza, quasi avvolti dall’ebbrezza dell’autodistruzione. Alla quale oggi aggiungiamo pure la concreta prospettiva di un pianeta incamminato verso una sorta di implosione principalmente per causa nostra. Il rischio che in questa immediatezza si corre è di restare paralizzati da un problema vero ma ingiusto. Il problema vero è lo scialo di violenza che siamo capaci di attivare. E che non si può negare né rimuovere. Ma l’ingiustizia risiede nel fatto che in tal modo non riusciamo a vedere la ragione ultima per cui restiamo paralizzati di fronte a tale scialo di morte. Se le lacerazioni delle relazioni interumane ogni volta ci scuotono, anche quando fingiamo che non sia così, è perché la nostra convinzione di sfondo consiste nel fatto intimo che gli esseri umani intrattengono un’intuizione di precedenza con il fare alleanze piuttosto che massacrarsi, costruire amicizie piuttosto che uccidersi, cercare mutualità piuttosto che egoismi, incontrare l’altro piuttosto che cancellarlo. Se la violenza in ogni sua forma non ci lascia mai sereni, è perché ‘sentiamo’ anzitutto che senza l’altro non possiamo vivere bene e che neppure l’altro vive bene. Il fatto è che quella convinzione di sfondo, la nostra cultura moderna dell’homo homini lupus ha fatto di tutto per cancellarla inventando numerosi espedienti ‘realistici’ per rimuoverla in noi. 

Oggi non cadiamo più nel tranello della falsa diatriba dell’uomo buono per natura o cattivo per natura. Semplicemente perché siamo consapevoli che l’uomo nasce responsabile, e il diventare buono o cattivo è una questione che rinvia a questa nostra responsabilità costitutiva.

Ora ciò che avvalora la nostra convinzione di sfondo, al di là di ogni ideologia, è il fatto reale che sotto la schiuma della violenza sociale permane il basso continuo di un gesto semplice quanto ‘infantile’: quello di donare qualcosa ma anche di donare noi stessi, il nostro tempo, le nostre conoscenze, i nostri sentimenti... Il filo che tiene insieme la trama dei nostri giorni bui è la pratica, certo a volte stanca, di parlare ossia di donarci reciprocamente attraverso delle parole. Infatti sappiamo bene che quando non si parla più allora qualcosa si sta rompendo. E stiamo male. Il linguaggio è la forma ordinaria del donare per tessere relazioni. Anche per questo sentiamo che la parola ‘volgare’, violenta, è premessa di lacerazioni. 

Allora la vera domanda non è perché gli uomini si massacrano ma perché nonostante le violenze gli uomini cercano di stare tra loro, cercano e si inventano forme di mutualismo, di solidarietà, di amicizia, di parentela e di scambio senza bisogno di ricavarne qualcosa se non il gusto di poter vivere insieme senza farsi del male. Ci stiamo inventando di tutto pur di esorcizzare il sentimento di insicurezza che ci avvolge, eppure noi sappiamo che quando si sta insieme per il gusto di stare insieme siamo anche molto più in sicurezza. Senza tanti decreti né pistole in circolazione. Ecco, questo gusto di stare insieme si attiva, si alimenta e si rafforza grazie alla catena quotidiana, invisibile e discreta, dei doni che ‘normalmente’ ci facciamo senza magari esserne sempre consapevoli. 

Veramente il dono con le sue infinite pratiche e immaginazioni, oggi deve essere portato a consapevolezza, pensato, articolato, educato e infine praticato così da diventare gesto cosciente capace di tenere insieme un tessuto sociale che si sta sfilacciando. Il dono va tematizzato come quella struttura invisibile che tiene insieme le nostre vite e le articola in legami sociali. Struttura invisibile che ci da quelle sicurezze che nient’altro può darci. Perché il dono genera prima di tutto fiducia e riconoscenza che poi diventano riconoscimento reciproco ossia rispetto della dignità di essere. Si può dire che nel dono-donare si racchiude l’essenziale dei nostri desideri. 

Svelare il dono che forse a volte vediamo velato dal nostro sistema di vita e di pensiero, ci appare come la vera urgenza di una nuova pedagogia sociale e civica. Non costa neanche molto: basta ascoltare e ripartire da quella convinzione di sfondo e da questa struttura invisibile che ci fa sempre propendere per una parola donata piuttosto che per una violenza inflitta.

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