Il volume pubblicato da ILO e UNCTAD dimostra, a partire da diversi esempi, come le politiche industriali possono trasformare le economie per creare posti di lavoro di migliore qualità. (http://www.ilo.org/rome/risorse-informative/per-la-stampa/articles/WCMS_343180/lang--it/index.htm)

Negli ultimi dieci anni, i responsabili politici sia dei paesi sviluppati sia di quelli in via di sviluppo hanno operato un cambiamento di rotta. Il dibattito si è spostato dall’entità della crescita alla sua qualità, e dalla crescita stessa allo sviluppo economico e sociale.

Questa evoluzione si spiega in parte dal fatto che, in diversi paesi, la crescita non sempre si traduce in lavori di migliore qualità, in salari più alti, in un aumento della qualità della vita e in sviluppo; e in parte a causa delle devastanti conseguenze della crisi finanziaria e economica del 2008-2009 sul mercato del lavoro.

La trasformazione delle economie per realizzare una crescita economica sostenuta e inclusiva e per creare posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità è quindi diventata un tema centrale nel dibattito politico a livello nazionale e internazionale. Il tema è anche centrale nella discussione sull’agenda post-2015 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile come pure nei dibattiti del G20.

Se esiste un ampio consenso sull’importanza della trasformazione della produzione, i punti di vista degli economisti divergono sul modo di dinamizzare un tale processo. Il termine «politica industriale» continua a suscitare il disagio nei dibattiti tra alcuni economisti e i responsabili politici.

Il volume dell’ILO e dell’UNCTAD Transforming Economies: Making industrial policies work for growth, jobs and development («Trasformare le economie: mettere le politiche industriale al servizio della crescita, dell’occupazione e dello sviluppo») fornisce una analisi approfondita del processo di cambiamento strutturale e tecnologico, e contiene anche insegnamenti e principi per stabilire politiche in grado di creare una crescita sostenuta e inclusiva con posti di lavoro di qualità. Il volume si basa su otto casi di studio (Costa Rica, Repubblica di Corea, Brasile, Cina, Sudafrica, Africa subsahariana, Stati Uniti e industria del software in India), come pure su studi transnazionali e regionali.


Una diversità di tradizioni economiche

Piuttosto che di concentrarsi su un quadro economico in particolare, lo studio analizza diversi approcci innovanti recentemente sviluppati in diverse tradizioni economiche, fra cui la teoria classica, strutturalista, evoluzionista e istituzionalista. Questi quadri vengono descritti come complementari piuttosto che come concorrenti, a partire dall’esame delle forze che determinano il cambiamento strutturale e tecnologico, e della complessità di tali processi.

Lo studio identifica le «capacità» produttive nazionali in quanto motore fondamentale della trasformazione della produzione, un fattore largamente trascurato dagli economisti della teoria economica dominante.

Le capacità risiedono nella base di conoscenza della manodopera, delle imprese e delle società — più è sofisticato e diversificato il mix delle conoscenze generali, culturali e tecniche e più sono «intelligenti» le routine organizzative e le istituzioni, più sarà dinamica l’economia nell’adottare tecnologie più complesse, nel diversificare i prodotti, nell’accelerare il passo della trasformazione produttiva e nel creare posti di lavoro.


Insegnamenti

Uno dei maggiori insegnamenti è che non è possibile ottenere una crescita inclusiva e una politica occupazionale di successo senza che esse siano radicate in una chiara strategia di sviluppo produttivo e di formazione per il rafforzamento delle capacità, che integri anche la trasformazione sociale e economica.

Le politiche pubbliche volontaristiche sono essenziali per stimolare il dinamismo dell’economia e per influenzare le strutture economiche. Dopo molti anni di consulenza politica che ha provocato importanti danni ai paesi in via di sviluppo, un ampio accordo su questo punto è una buona notizia.

Non esiste tuttavia un unico approccio politico valido per tutti i paesi. I responsabili politici devono sviluppare strategie adatte al paese, tenendo conto delle condizioni specifiche al paese, dei vantaggi comparati e delle capacità iniziali. Saranno allora in grado di formulare politiche di trasformazione produttiva alla luce degli obiettivi e delle aspirazioni di sviluppo del paese.

Dagli studi nazionali e regionali emergono quattro importanti insegnamenti relativi alla progettazione e all’attuazione delle politiche industriali:
  • Concentrarsi su alcune attività economiche, industrie e tecnologie è stato un elemento chiave di tutte le strategie che sono riuscite a promuovere la trasformazione produttiva. Secondo lo studio, la distinzione tra misure orizzontali e misure verticali tende a sfumare, poiché molte delle misure apparentemente «neutre» favoriscono infatti questo o quell’altro settore. La questione non è quindi se occorre concentrarsi su alcuni settori ma come operare la scelta più efficace possibile.
  • Soltanto un insieme integrato e coordinato di politiche e di istituzioni è in grado di rispondere adeguatamente alle numerose sfide della formazione e della trasformazione strutturale alle quali sono confrontati i paesi intenti a realizzare i propri obiettivi di crescita, di occupazione e di sviluppo. Un tale insieme deve prendere in considerazione la coerenza delle politiche in materia di investimenti, di commercio, di tecnologia, di educazione e di formazione, sostenute da politiche macroeconomiche, finanziarie e del mercato del lavoro. In particolare, le politiche commerciali e macroeconomiche devono essere in linea con le politiche industriali. Diverse economie di successo hanno utilizzato un mix intelligente tra apertura degli scambi, promozione delle esportazioni e sostegno alle nuove industrie, in combinazione con politiche di promozione degli investimenti e della competitività.
  • Fondamentalmente, le politiche industriali devono raccogliere la sfida di stimolare le capacità attraverso l’accelerazione di processi di apprendimento diversificati a secondo dell’individuo, delle aziende, delle società e della manodopera, e di trasformare la base delle conoscenze e i sistemi collettivi di acquisizione delle conoscenze che sono alla base delle routine e delle istituzioni. Ciò richiede una strategia integrata dell’apprendimento che ricopra le politiche dell’educazione, della formazione, della tecnologia, del commercio e degli investimenti. La strategia deve anche comprendere istituzioni in grado di promuovere l’apprendimento individuale e collettivo nelle scuole, nelle comunità e nei processi di produzione, come pure nelle reti sociali, professionali e organizzazionali o nelle catene di approvvigionamento.
  • Le politiche industriali dovrebbero mobilitare non solo gli imprenditori e i responsabili delle politiche pubbliche ma anche il mondo accademico, i sindacati e la società civile a livello municipale, regionale e nazionale. Tutti questi attori hanno un ruolo legittimo da svolgere e dovrebbero integrare i consigli nazionali di competitività, i consigli o i comitati settoriali, le reti informali di comunità di prassi e le partnership pubblico-privato. Sono tutti indispensabili per un efficace coordinamento e per la formazione di un consenso.

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