Economia ecologica. La Norvegia è il Paese dove si vive meglio, la Repubblica centrafricana il peggiore. Il nostro Paese in ritardo per quanto riguarda la sostenibilità ambientale.

di Umberto Mazzantini

Dagli anni ’30 è il Prodotto interno lordo, il famoso e famigerato Pil, creato per misurare gli effetti della Grande Depressione sull’economia statunitense, a valutare la ricchezza di un Paese. Il Pil è ormai messo spesso in discussione per i suoi criteri unicamente economici ed in questi anni sono emersi diversi indici di benessere alternativi, come Social Progress Index (Spi) che misura il progresso sociale di ogni Paese.

Gli economisti e gli statistici che hanno progettato lo Spi hanno presentato qualche giorno fa i primi risultati di un lavoro avviato nel 2009, dopo che nel 2013 avevano presentato una pria valutazione riguardante 50 Paesi. Quest’anno i Paesi analizzati sono 133 e rappresentano il t 99% della popolazione mondiale.

Anche se il Social Progress Index ha delle debolezze metodologiche, come quelle di utilizzare – in mancanza di altri dati – sondaggi sulla soddisfazione per la qualità della salute e dell’educazione scolastica, la Commissione europea si è impegnata ad integrare lo Spi nel suo processo decisionale ed a considerarlo come il Pil.

Ci sono altri tentativi di superare il Pil, a partire dal Benessere interno lordo lanciato fin dagli anni ’70 dal piccolo regno del Bhutan e che si basa su protezione dell’ambiente, c salvaguardia e promozione della cultura locale, buon governo e sviluppo economico responsabile e sostenibile. L’Onu ha proposto l’Inclusive Wealth Index della ricchezza globale, includendo dal 2012 il capitale naturale e dal 2014 il capitale umano.

L’Ocse ha realizzato il Better Life Index, che, partendo dal 1820, paragona salari, speranza di vita, livello di istruzione, salute, dimensioni economiche, qualità dell’ambiente, sicurezza, ineguaglianza uomo-donna ed istituzioni politiche.

La metodologia Spi si basa su tre pilastri: la capacità di una società di soddisfare i bisogni di base dei suoi cittadini (qualità ed accesso al sistema sanitario, diritto ala casa, sicurezza…), di fornire le basi per potersi costruire un benessere di lungo periodo (accesso all’educazione scolastica ed all’informazione),dare lle opportunità per potersi realizzare. Ne viene fuori che la crescita economica non è necessariamente il motore del progresso sociale. I primi tre posti dei Paesi dove si vive meglio e con più progresso sociale se li aggiudicano la Norvegia (88,36 punti) e la Svezia (8,06), con il loro welfare State socialdemocratico, e la capitalista Svizzera (87,97) che però redistribuisce bene le opportunità.

Nei primi 10 posti dell’Indice Spi Very High Social Progress troviamo: Islanda (87.62); Nuova Zelanda (87.08); Canada (86.89); Finlandia (86.75); Danimarca (86.63); Olanda (86.50); Australia (86.42).

Come scrive Le Monde «Si tratta di attaccare il mito secondo il quale l’attività economica crea automaticamente del progresso sociale e che tutto quel che è legato al sociale costa del denaro».

A chiudere la classifica Spi con i Paesi Very Slow Social Progress, troviamo sempre i soliti: Repubblica centrafricana (31.42); Ciad (33.17); Afghanistan (35.40); Guinea (39.60); Angola (40.00); Yemen (40.30); Niger (40.56); Etiopia (41.04).

L’Italia si piazza al 31esimo posto, subito prima della Spagna, ben dietro la Francia (21esima) e gli Usa (16esimi) che però crollano rispettivamente dal sesto e primo posto della classifica del Fondo monetario internazionale che si basa sul Pil.

L’Italia, con 77.38 punti, nell’indice Spi, chiude dietro a Cipro la classifica dei Paesi di seconda fascia ma comunque definiti High Social Progress, ed è superata anche da Paesi ex comunisti come Slovenia, Repubblica Ceca, Estonia e Polonia e da Paesi in via di sviluppo come Uruguay, Cile e Costa Rica, ma non da giganti emergenti come Cina (92esima), Russia (71esima), Sudafrica (63esimo).

Secondo il riassunto della scheda Italia del Social Progress Index 2015, il nostro Paese ha buone performance per l’acqua e i servizi igienico-sanitari e ha grandi possibilità di miglioramento per quanto riguarda la componente della sicurezza personale. La Wellbeing Dimension assegna all’Italia punteggi alti per l’accesso alla conoscenza di base, ma evidenzia ritardi per quanto riguarda la sostenibilità ambientale. Per quanto riguarda le opportunità l’Italia è più forte sui diritti delle persone ed ha notevoli spazi di miglioramento per l’accesso all’istruzione avanzata.

Verrebbe da concludere, vedendo la classifica dell’Italia in tutti gli indici di prosperità, che più o meno ci piazzano allo stesso livello dello Spi, che pur cambiando indice la mediocrità del nostro Paese – che è in bilico tra eccellenza e crisi – emerge comunque, ed è il sintomo di un Paese ricco che vivacchia sulle conquiste del passato (che qualcuno mette in discussione) senza ancora riuscire a progettare un futuro di benessere diffuso e condiviso, oltre il Pil.

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