Il teorico e practitioner della qualità Ph. B. Crosby ha brillantemente sintetizzato cosa significhi “essere efficaci” in uno schema rivolto a due orizzonti: le persone e i risultati. Una prospettiva che merita attenzione oggi più che mai, in un clima di frequente malcontento verso molte scelte operate dai rappresentanti politici e dalle amministrazioni. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2016/08/sperimentare-la-collaborazione-amministrazione-condivisa-al-servizio-delle-persone-e-dei-risultati/)
Non è raro che molte decisioni e azioni pubbliche vengano tacciate – a torto o a ragione – di non condurre ai risultati attesi, di trascurare le specificità di dati individui o gruppi, di essere state prodotte e attuate senza coinvolgere i destinatari: una serie di doglianze che sembrano rilevare uno “scollamento” tra aspettative dei cittadini e concreta azione dei poteri pubblici.


Beni comuni, persone e risultati

Le critiche alla rappresentanza politica e alla P.A., seppur legittime come stimolo per auspicabili miglioramenti, non possono però scivolare in forme (patologiche) di banalizzazione generalizzata – talvolta pericolosamente anti-sistema – che le vede ridotte solamente a sedi di poteri indifferenti, inefficaci o corrotti: esse sono e rimangono cardini irrinunciabili di una società democratica che, in modo ordinato, deve cercare soluzioni adeguate per le esigenze dei suoi componenti. Allo stesso modo, non possono essere ignorate determinate criticità che, tradizionalmente, accompagnano l’agire di entrambe, dando luogo a detti casi di malcontento.

Come pensare, allora, un apporto pratico e operativo – in senso complementare (A. Valastro) – che renda le dinamiche rappresentative e amministrative capaci di riallinearsi, efficacemente e inclusivamente, con le persone e con i risultati?

È dall’attività di Labsus che è emersa la prima risposta concretamente spendibile: il Regolamento di Bologna (febbraio 2014), strumento “principe” dell’amministrazione condivisa dei beni comuni, ha dissodato un terreno che richiedeva risposte non più raggiungibili mediante schemi e approcci tradizionali. La sua approvazione e diffusione ha attivato, infatti, uno sviluppo parallelo e permeabile tra valorizzazione dei percorsi umani (individuali e di gruppo) e coerenza/efficacia delle azioni intraprese (rispetto ad aspettative e bisogni).

Se il Regolamento è stato di per sé un vero e proprio “spartiacque” nell’affermarsi di questa nuova “antropologia positiva” (G. Arena, qui, 23/02/2016), c’è un elemento che sembra particolarmente avanzato ai fini dell’attuazione di questo grande progetto: il rilancio della sperimentazione (art. 35). Una fase procedurale, ma soprattutto un metodo, realmente capace di dinamizzare la gestione dei beni comuni, di attuare principi costituzionali quali quello solidaristico e di sussidiarietà, di mettere alla prova gli strumenti e le prassi, e di migliorarli apprendendo lezioni utili per il futuro.


Da una dimensione statica a una dimensione dinamica

La nozione di sperimentazione nasce con l’affermarsi del metodo scientifico nella prima età moderna, avviando un processo culturale intimamente connesso con il successivo sviluppo di teorie democratiche. Al centro di questa visione vi è l’idea che nulla possa essere imposto dall’alto, ma che sia necessario testare e verificare ipotesi, opzioni e azioni. Non è un concetto estraneo alle politiche pubbliche contemporanee: in tempi ben più recenti si è assistito a sperimentazioni che però non hanno saputo coinvolgere i cittadini o produrre effetti vincolanti, o che non sono state utilizzate per apprendere. Sono rimaste, insomma, confinate a un ruolo statico e sterile, calcificato in vecchi schemi amministrativi.

Ora, grazie ai Regolamenti sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, la sperimentazione ha la possibilità – appetibile tanto per gli amministratori quanto per i cittadini – di riconquistare il suo valore originario di spazio flessibile e inclusivo, capace di liberare energie creative e saperi e di rendere ripetibili i modelli di azione che si rivelano, di volta in volta, i più proficui.

Tali Regolamenti sono così la fonte e lo strumento che rende possibile il passaggio a un ruolo dinamico della sperimentazione: un dinamismo capace di irradiarsi all’azione amministrativa tout court, innovando prassi, procedure e il rapporto stesso tra pubblica amministrazione e cittadini.


Creatività e problemsolving

Nel Discours de la méthode Cartesio afferma che “la ragione non è nulla senza l’immaginazione”. Nel crescente bisogno di “vitalizzare” e “normalizzare” – in modo ragionevole e organizzato – la condivisione nella gestione dei beni comuni, la sperimentazione è lo spazio fondamentale dell’immaginazione: una zona della creatività, dove il problem solving incontra le potenzialità e le risorse dei soggetti.

Divenendo un elemento metodologico, essa permette di elaborare modelli di governo dei territori sempre più idonei a contemperare efficacia/efficienza e pluralismo (sociale e istituzionale), valorizzando una duplice accezione della creatività: daun lato come fantasia, quale libera elaborazione di proposte – in risposta all’emersione di vedute, bisogni, posizioni e interessi – volta a distillare, step by step, una varietà di soluzioni sempre più definite (anche in senso tecnico), sino a predisporre opzioni condivise da sottoporre alle fasi decisionali successive; dall’altro lato, la creatività come atto creatore, produttivo di effetti tangibili, in diretta connessione con il piano dell’efficacia.


La sperimentazione come spazio flessibile (e partecipato) dell’attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà

La Riforma del Titolo V (2001) ha costituzionalizzato il principio di sussidiarietà: un principio attento non solo alle persone e ai risultati, ma anche intrinsecamente legato alla nozione/valore della collaborazione. I Regolamenti nati dall’attività di Labsus sono lo strumento necessario per trasfondere la Costituzione nella pratica quotidiana attraverso uno strumento ben definito: il patto di collaborazione (laddove con il termine “patto” si esprime un riferimento ai risultati, mentre con “collaborazione” si richiama la relazione tra persone, fisiche e giuridiche).

La collaborazione tra cittadini e amministrazione – attraverso l’adozione di atti amministrativi di natura non autoritativa–“realizza l’amministrazione condivisa” (art. 1, bozza Regolamento per Roma), implementando il trinomio Costituzione-Regolamento-patti di collaborazione e consentendo, in tal modo, “la realizzazione del principio costituzionale di sussidiarietà dal punto di vista del Diritto pubblico, in una scala che va dal massimo di generalità al massimo di specificità, dal massimo di astrattezza al massimo di concretezza” (G. Arena, qui, 12/02/2016).

In questo passaggio, la sperimentazione assume un ruolo centrale, soprattutto in vista della messa a punto di un’adeguata valorizzazione della sussidiarietà orizzontale. Essa ha, infatti, condotto a una varietà di forme e strategie che ha “sparigliato le carte” dell’interazione tra i vari soggetti pubblici e privati. Il carattere sperimentale appare idoneo per testare e coinvolgere in modo partecipato l’apporto di queste nuove forme che – in quanto atipiche secondo gli schemi tradizionali – hanno bisogno di trovare uno spazio adeguato (e di essere verificate nella loro efficacia e rispondenza ai bisogni di territori e soggetti).


“Mettere alla prova” gli strumenti per migliorarli e apprendere

La sperimentazione, in conclusione, si rivela una fase fondamentale per concretizzare una serie di snodi, ognuno dei quali “è indispensabile e l’uno rinvia necessariamente all’altro, in una circolarità di relazioni che a sua volta è una delle caratteristiche principali della sussidiarietà” (G. Arena, qui, 06/02/2016).

“Mettere alla prova” gli strumenti utilizzati coinvolgendo la circolarità di queste relazioni e, soprattutto, i soggetti che ne sono i protagonisti è uno dei nuclei più ricchi di valore delle potenzialità offerte dal nuovo modello dell’amministrazione condivisa dei beni comuni (non è un caso l’attenzione riservata da Labsus alla casistica su tali esperienze).

Rendendo le fasi degli interventi “permeabili” ai risultati delle sperimentazioni, le azioni della pubblica amministrazione si rendono dinamicamente aperte all’apprendimento e all’innovazione: presupposti essenziali ai fini della loro efficacia, sia in vista del miglioramento tecnico degli strumenti, sia in risposta alla necessità di sottrarli a potenziali criticità (adottando “interventi correttivi”, art. 35 Regolamento Bologna). Il tutto realizza un apprendimento diffuso (si pensi al ruolo della formazione, artt. 18-19 Regolamento Bologna) che diviene una base solida e forte per la crescita della cultura civica dei cittadini – “attivi”, così, più che mai! – e per rinnovare il patto democratico che intercorre tra questi e le “loro” amministrazioni (rafforzate, grazie al contributo delle sperimentazioni, nel loro know how e, pertanto, nella loro credibilità e autorevolezza)

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