Non v’è dubbio che il principio collaborativo debba essere considerato un paradigma di buon governo per tutti i livelli dei poteri pubblici; e tuttavia ciò vale in modo particolare per le amministrazioni locali, alle quali sempre più si richiede oggi la capacità di decidere e di agire in modo inclusivo e di costruire progetti di futuro condiviso. (Scopri di più su: http://www.labsus.org/2016/08/la-partecipazione-alla-prova-dei-territori-dal-decidere-al-fare/)
Del resto, è proprio al livello dei Comuni che l’immedesimazione fra istituzione e comunità appare particolarmente evidente. Come osserva Umberto Allegretti, si può davvero pensare di staccare il Comune, la sua organizzazione e il modo di svolgere le sue funzioni dall’esistenza e operatività della sua comunità di riferimento? O invece la partecipazione e l’interazione effettiva tra istituzioni e società appartengono alla natura più profonda del Comune come ente di base?

Ciò appare tanto più vero alla luce delle vicende e delle crisi degli ultimi anni. I territori e tutti i loro attori (pubblici e privati) sono infatti in prima linea di fronte alla necessità di disegnare politiche pubbliche innovative, e di mobilitare le energie locali per costruire nuove forme di sostenibilità del vivere individuale e collettivo. Dalle fragilità più strettamente individuali a quelle che colpiscono le comunità e i territori, tutte reclamano politiche che sappiano recuperare e mantenere un contatto costante con le coscienze dei territori e con le competenze esperienziali dei loro abitanti .

La complessità delle scelte reclama, da un lato, l’integrazione dei saperi istituzionali con i saperi civici degli abitanti; dall’altro, la corresponsabilizzazione di tutti rispetto alle azioni concrete e la valorizzazione delle capacità individuali e collettive nel trovare e attuare soluzioni.

In questo contesto anche gli assi portanti della democrazia locale sono chiamati a ripensarsi alla luce di paradigmi politici che vadano al di là del rapporto di rappresentanza; e la partecipazione, o meglio il modello di democrazia partecipativa, va progressivamente recuperando il proprio ruolo di strumento essenziale alla mobilitazione del capitale sociale.


Quale partecipazione

La partecipazione di cui qui si parla è, nel contempo, principio e metodo: una partecipazione volta ad integrare i saperi e le risorse in possesso delle istituzioni attraverso l’utilizzo delle informazioni e delle capacità in possesso degli abitanti; una partecipazione non confinata in atti episodici e contingenti ma strutturata in forme di interlocuzione e collaborazione permanente.

In primo luogo, il modello di democrazia partecipativa si pone in termini di complementarietà con i modelli della democrazia rappresentativa e della democrazia diretta, al fine di realizzare processi decisionali inclusivi: i saperi civici devono integrare i saperi politici e i saperi esperti, attraverso metodologie rigorose e spazi organizzati di dialogo per la consultazione dei soggetti interessati.

In secondo luogo, il modello di democrazia partecipativa si pone in termini di complementarietà con il modello della sussidiarietà orizzontale e dell’amministrazione condivisa: la collaborazione fra amministrazione e comunità deve poter transitare dalla dimensione del “decidere” a quella del “fare”.

Come ha scritto Gregorio Arena già dalla fine degli anni ’90, il modello dell’amministrazione condivisa consiste nel superamento della tradizionale contrapposizione fra Stato e cittadino in favore di un metodo di realizzazione dell’interesse generale di tipo collaborativo, in cui i cittadini vengono considerati come portatori non solo di bisogni ma anche di capacità, e dunque di risorse.

E questo modello, già legittimato dai principi costituzionali di partecipazione, solidarietà e buon andamento della pubblica amministrazione, è oggi rafforzato dal principio di sussidiarietà orizzontale introdotto nel 2001 (art. 118, ultimo comma), che impone alle amministrazioni di favorire l’iniziativa dei cittadini.

Il cerchio, dunque, si chiude: il capitale sociale ha fatto il proprio ingresso ufficiale fra le risorse che la Costituzione considera necessarie per la realizzazione dell’interesse generale; e la complementarietà delle due forme di partecipazione si mostra in tutta la propria evidenza.

Democrazia partecipativa e amministrazione condivisa disegnano cioè un processo circolare: l’interlocuzione con i poteri pubblici acquisisce infatti gli strumenti per attraversare le politiche pubbliche in tutte le loro fasi, dai processi decisionali alla loro attuazione concreta e di nuovo, grazie all’accrescimento del capitale sociale, verso nuove e più evolute capacità di ideazione.


Una nuova stagione di regolamenti

In questa prospettiva appare significativo il crescente ritorno di interesse, da parte dei Comuni, per la regolamentazione degli istituti partecipativi.

Da un lato l’incredibile diffusione, in poco più di due anni, del regolamento sull’amministrazione condivisa per la cura dei beni comuni dimostra e conferma l’urgenza dei bisogni concreti e di nuove forme di alleanza fra le amministrazioni e gli abitanti.

Dall’altro la graduale ripresa che si sta verificando anche rispetto ai regolamenti che disciplinano la partecipazione ai processi decisionali dimostra che le persone vogliono dire la propria e contribuire attivamente a tessere la trama delle sorti che le legano. Sono in aumento i “regolamenti-quadro”, cioè i regolamenti che riuniscono in un testo organico i vari istituti partecipativi (dibattito pubblico, consultazione, bilancio partecipativo, ecc.), finora spesso sparsi in singoli atti adottati in tempi anche molto distanti. Cresce l’utilizzo di forme di soft law (ad es. Linee Guida, Manuali), cioè documenti che individuano i criteri metodologici da seguire nella costruzione dei processi partecipativi. Cresce il riferimento agli abitanti in luogo dei cittadini e dei residenti .

Ma uno degli aspetti più interessanti è dato dai regolamenti che ? più di recente ? cominciano a sperimentare l’integrazione delle due forme di partecipazione, attraverso l’innesto delle procedure partecipative nei processi decisionali relativi alle forme di intervento per la cura di beni comuni. Questi regolamenti, ancora pochi perché legati all’evoluzione assai recente del modello dell’amministrazione condivisa dei beni comuni, sono tuttavia molto significativi perché costituiscono i primi tentativi di rendere effettivamente complementari i due modelli e le due facce della partecipazione.

In alcuni casi ci si limita ad affiancare la previsione degli istituti di democrazia partecipativa e di amministrazione condivisa all’interno dello stesso regolamento, che diviene così vera normativa-quadro della partecipazione collaborativa: un esempio di questo tipo è il Regolamento della partecipazione del Comune di Piacenza, n. 23 del 16 settembre 2013.

In altri casi un organismo tipico della democrazia partecipativa, come la consulta, viene ripensato come luogo non solo del proporre ma anche “del fare e dell’agire”: ad esempio il Regolamento sulla Consulta del Welfare del Comune di Castel Maggiore (BO), del 22 aprile 2009, ove si afferma che la consulta vuole porsi, oltre che come tradizionale strumento consultivo, anche come “spazio dove attuare, attraverso azioni concrete, la partecipazione delle associazioni e dei cittadini alla costruzione del welfare di città”.

In altri casi ancora, i più interessanti e attuali, gli istituti di democrazia partecipativa vengono messi “al servizio” delle decisioni e strategie concernenti la cura dei beni comuni. Ad esempio, il Regolamento municipale per la “Democrazia partecipativa” del Municipio I, Comune di Genova, del 29 luglio 2013, afferma che i cittadini (“singoli o associati, residenti o operanti sul territorio”, art. 1) sono chiamati ad esprimersi su progetti di cura e manutenzione “scelti all’interno di un elenco elaborato dal Municipio e/o direttamente proposti da loro stessi, decidendo quali dei progetti vadano finanziati” (art. 2). Un altro caso interessante è quello dell’Unione dei Comuni Savena Idice, nella provincia di Bologna, che ha promosso un percorso di democrazia partecipativa per la definizione di Linee Guida condivise sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la gestione e la manutenzione dei beni comuni, in risposta al bando regionale sulla partecipazione di cui alla l.r. n. 3/2010: obiettivo finale del percorso, che prevede l’attivazione di un Tavolo di Negoziazione e di un evento partecipativo (World Cafè) per ciascun territorio comunale, è la formulazione di un “Documento di proposta partecipata” che conterrà delle Linee Guida condivise con indicazioni e proposte per i 5 Comuni, da usare per uniformare a livello di Unione gli strumenti normativi, esistenti o da produrre, in materia di gestione condivisa dei “beni comuni”.


La partecipazione “al fare”

Questi casi dimostrano che la “partecipazione al fare” sta rappresentando un vero e proprio nuovo alimento per la “partecipazione al decidere”: quest’ultima, più antica nella sua teorizzazione ma assai più problematica perché afflitta dalle maggiori resistenze della politica, può sperare di divenire effettiva solo in presenza di una cultura collaborativa più matura e costantemente allenata, che a sua volta solo nella fucina dell’impegno concreto per la soluzione di problemi comuni può formarsi e continuamente rinnovarsi. L’impegno concreto nella cura dei beni comuni genera negli abitanti nuova consapevolezza e nuove capacità (o meglio, risveglia e valorizza capacità in realtà innate), rendendoli interlocutori sempre più competenti anche nei processi decisionali.

Ma ciò a patto che la complementarietà fra i due tipi di partecipazione non venga scambiata per fungibilità: occorre cioè evitare il rischio che l’enfasi posta sul “fare” non divenga il nuovo alibi per rimettere in ombra il “decidere”, poiché è infine da questo che dipenderà la possibilità di assicurare effetti duraturi e stabili alle nuove dinamiche collaborative.


Un governo locale collaborativo non è un’utopia

Ciò che sta accadendo in molte amministrazioni locali italiane dimostra che un modello di governo locale di tipo collaborativo e solidale è ragionevole e tutt’altro che utopistico; anzi, è un’utopia realistica, nell’accezione che ne ha dato più volte Umberto Allegretti. Non solo, ma rappresenta anche una risposta convincente ai sacrifici che la legislazione statale dell’emergenza economica ha imposto all’autonomia locale, dimostrandone la miopia e gli effetti distorsivi: il bisogno di fantasia e di coraggio istituzionali che le comunità esprimono, per condividere con le amministrazioni scelte innovative nel governo dei territori, richiede infatti di coniugare gli obiettivi economici con nuove capacità di sperimentazione; e di tenere insieme le due facce della partecipazione in quanto strumenti co-essenziali di un metodo di governo fondato sulla costruzione condivisa della democrazia.

Va cioè costruendosi, in modo reticolare e progressivo, una sorta di democrazia “resiliente” che sfida ogni tentativo di imposizione di modelli dall’alto: un sistema capace di rispondere ai cambiamenti attuando strategie adattive e creando continuamente nuove forme di equilibrio. Una democrazia che non impone risultati dall’alto ma piuttosto attiva processi, basati sull’incremento e l’utilizzo costante dei saperi e delle capacità (individuali, comunitarie, istituzionali) per permettere a chiunque viva il territorio di sviluppare un senso di responsabilità nei suoi confronti.

Per approfondire:
  • Allegretti, Modelli di partecipazione e governance territoriale. Prospettive per i processi partecipativi nei comuni “dopo” le circoscrizioni, in Ist. del federalismo, n. 2/2011, p. 205ss.
  • A. Valastro, La vita fragile. Ripensare i paradigmi delle politiche oltre la debolezza e le crisi, in AA.VV. (a cura di), Scritti in onore di Luigi Lombardi Vallauri, Napoli, Jovene, 2016.
  • G. Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in St. parl. pol. cost., 1997, pp. 29ss.
  • A. Valastro, Le regole locali della democrazia partecipativa. Linee di tendenza dei regolamenti comunali, Napoli, Jovene, 2016.

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