Non solo per il fundraising, ma anche per l’addetto stampa.

Articolo di Elisa Bonini.

Emiliana d’origine, fiorentina d’adozione, una laurea in conservazione dei beni culturali un master in marketing e comunicazione per il turismo, si è specializzata alla Fundraising School di Bologna. Libera professionista, è fundraiser e consulente di fundraising e comunicazione, con una naturale predilezione per l’arte e la cultura e un mantra in testa “Se cresci tu, cresco anche io”. Socia Assif di cui è ufficio stampa, fra le sue esperienze collabora con ConfiniOnline, con il team di Fundraiser per Passione, con la Fondazione Orchestra Regionale Toscana, ed è l’ufficio pubbliche relazioni e media in Italia per la Fondazione americana Friends of Florence.

Non smetterò mai di pensare al fundraising e all’attività di media relations come due facce di una stessa medaglia con molti elementi comuni. Infatti come abbiamo già avuto modo di riflettere nello scorso articolo intitolato “Ufficio stampa e fundraising? Gemelli diversi ma non poi così tanto” fra la raccolta fondi e l’attività di ufficio stampa esistono molti punti di contatto: ci sono elementi delle relazioni con i media che somigliano molto al fundraising e che vanno assolutamente conosciuti per poterli gestire nel modo più costruttivo ed efficace possibile.

Nello scorso articolo abbiamo cominciato a ragionare insieme, sulla call to action, ma la nostra riflessione non può fermarsi, anzi qui procede con un altro tema fondamentale: fra i tanti punti di contatto ci sono le relazioni, un patrimonio indispensabile e assolutamente vitale sia per chi fa raccolta fondi, sia per chi si occupa di comunicazione.

Sembra banale, e molti possono pensare che questa sia la scoperta dell’acqua calda, ma in realtà secondo me pochi si sono soffermati sul parallelismo fra fundraiser e addetto stampa alla luce delle relazioni e dunque molti concepiscono le due funzioni come non correlate fra di loro all’interno di un’organizzazione non profit. E’ proprio su questo che vorrei riflettere insieme a voi lettori, perché ritengo che oggi raccolta fondi e ufficio stampa siano parti di uno stesso processo con tangenti che non possono non essere considerate.

Ebbene si, le relazioni, ossia “quello speciale legame che si crea tra il donatore che ha un bisogno/desiderio di donare e il beneficiario che ha invece bisogno di aiuto per cambiare la propria situazione” come la definisce Luciano Zanin nel suo libro “Raccolta Fondi e welfare di prossimità”.

Dunque le relazioni diventano uno degli elementi cardine del processo di sostenibilità di un’organizzazione non profit, intesa come attrattore sociale la cui attività abbia un effettivo impatto sulla società. L’impatto di cui si parla non è altro che la creazione di valore per tutti gli attori che prendono parte a questo processo di sviluppo sociale, dall’organizzazione non profit, al fundraiser e al comunicatore.

Già nello scorso articolo abbiamo riflettuto sul senso di appartenenza che fa stare bene e sul concetto di reciprocità che sono alla base del dono, considerato oggi giorno come pura relazione e legame da curare e far crescere quotidianamente.

Con la riflessione sulle relazioni aggiungiamo un tassello in più a questa visione transpersonale della raccolta fondi e della comunicazione, perché diventa importante ampliare il discorso all’idea che la comunità sia un organismo composito, complesso a cui guardare con un approccio olistico, in cui la relazione diventa il collante, l’interconnessione fra elementi e individui, fra buone cause e obiettivi, fra valori e missioni, fra progetti, azioni e impatti.

Gli stakeholder e i donatori non sono dunque mai meri compartimenti stagni che non si parlano fra di loro e che non possono interagire all’interno del processo di sviluppo della missione di un’organizzazione, ma anzi, mai come ora, desiderano entrare in connessione fra loro per dare sostanza alla loro ricerca di senso.

Se è dunque vero che fundraiser, addetto stampa, giornalista/influencer hanno tutti bisogno di sentirsi parte di un insieme relazionale più ampio e di affermare il proprio ruolo all’interno della società, è altrettanto indiscutibile che è proprio nella relazione che questa dinamica trova il proprio compimento. Dunque come per il fundraising, anche per l’attività con i media è indispensabile riconoscere e coltivare le relazioni poiché dietro a esse ci sono sempre persone. Seth Godin nel suo illuminante libro intitolato “Quel Pollo di Icaro” ci ricorda come “Entrare in contatto presuppone un complesso scambio di informazioni, la condivisione di aspirazioni e interessi. Vuol dire aprirsi agli altri… richiede umanità e generosità e non una transazione di bit digitali… Significa che le cose non dipendono solo da noi”. Siamo infatti di fronte a una partnership, e non a una relazione unidirezionale. Perciò entrare in contatto sia con i donatori sia con i media e gli influencer, presuppone sempre uno scambio, una relazione, un’interconnessione reciproca da cui non si può prescindere.

Punto di partenza dunque, sia per il fundraising sia per l’ufficio stampa, è proprio il patrimonio relazionale, di cui occorre avere consapevolezza, e che spesso è necessario fotografare attraverso un costante e periodico lavoro di mappatura. Il fundraiser, come l’addetto media, devono saper riconoscere ogni relazione posseduta e leggerla in una visione olistica e evolutiva. Mi piace pensare che in entrambi i casi sia fondamentale che tale mappatura relazionale sia completa, riguardi tutta l’organizzazione e i partner e sia costruita sulla base del coinvolgimento, ossia di quanto è legato all’organizzazione, dell’interesse cioè del grado di condivisione delle tematiche legate alla missione, e dell’abilità al dono.

Abbiamo definito il giornalista come un donatore che sceglie di mettersi a disposizione della buona causa o del progetto di un’organizzazione non profit per renderlo accessibile a quante più persone possibili. Per questo il giornalista o l’influencer, deve essere letto dall’addetto stampa proprio con lo stesso metodo seguito dal fundraiser nella mappatura relazionale dei potenziali donatori.

Quanto è legato alla buona causa o ai temi che la toccano? Quanto conosce ed è prossimo al progetto per il quale si chiede il sostegno o la partecipazione? Quanto e cosa può donare? In che modo è possibile coinvolgerlo? Come è possibile assecondare il suo bisogno di partecipare al progetto e armonizzarlo con la necessità dell’organizzazione di raggiungere quante più persone possibili?

Queste sono tutte riflessioni utilissime per la costruzione del database, non solo del fundraising, ma anche dell’ufficio relazioni con i media.

E qui veniamo a un altro aspetto importante, il database. Esso non può ridursi a una mera lista di contatti, ma deve appunto essere segmentata, ragionata e contestualizzata, sia nel caso del fundraising, sia nelle attività di ufficio stampa.

Come nella raccolta fondi, così anche nelle relazioni con i media, possiamo scegliere di acquistare delle liste di contatti che, pur essendo profilati in modo dettagliato, magari non conoscono l’organizzazione e il progetto per il quale si chiede un coinvolgimento o non trattano i medesimi temi, oppure possiamo scegliere di costruire il nostro patrimonio relazionale con cognizione di causa e ragionamento coltivandolo di giorno in giorno.

Proprio perché la comunicazione per il non profit è parte del processo di sostenibilità e serve a raggiungere quanti più interlocutori interessati possibili, è necessario che essa parta da un database di contatti caldi ossia di relazioni che siano il più interessato possibile alla buona causa e ai temi a essa legati.

Ed è altrettanto importante coltivare queste relazioni, esattamente come il fundraiser fa con i propri donatori, cercando di riconoscerne il ruolo all’interno del processo di sviluppo della comunità. Più le liste sono “calde”, più i giornalisti conoscono l’organizzazione, più è facile coinvolgerli, esattamente come avviene per i fundraiser quando lavorano insieme ai propri donatori. Ecco allora che ancora una volta si rafforza questa somiglianza fra fundraising e ufficio stampa. Come dice Furio Garbagnati nel libro “Relazioni pubbliche e corporate communication” scritto a cura di Emanuele Invernizzi e Stefania Romenti “

L’obiettivo primario delle relazioni con i media è quello di costruire una notizia, trasformare cioè le informazioni in notizie che possano suscitare l’interesse dei media e degli stakeholder e utilizzarle in maniera strategica veicolandole all’interlocutore giusto, al momento giusto, nel modo giusto”. Mi piace aggiungere a tutto ciò che la notizia diventa ancora più efficace se è costruita anche dalla persona giusta, e divulgata con lo strumento giusto.

Esattamente come avviene nella raccolta fondi. Infatti come si racconta nel libro “Il Piano di Fundraising. Tra dono e metodo” a cura di Luciano Zanin, Laura Lugli, Guya Raco, un’azione di fundraising di successo è quella realizzata dalla persona giusta, che chiede al donatore giusto, la giusta somma, per il giusto progetto, nel momento giusto e nel modo giusto.”

Nel mondo interconnesso in cui viviamo, siamo chiamati a considerarci e considerare ogni elemento e ogni interlocutore come parte di un processo di sviluppo complesso, ma sicuramente comune cioè che ci accomuna tutti. Per questo mai come ora, sia nell’attività di fundraising sia in quella di media relations non possiamo che ragionare di visioni olistiche e non per compartimenti stagni, cercando di considerare la raccolta fondi e la comunicazione come parti di uno stesso identico processo di sviluppo e sostenibilità con molti punti di contatto da riconoscere e valorizzare.

Esattamente come ci racconta Mariagrazia Villa nel suo libro intitolato Il giornalista digitale è uno stinco di santo. 27 virtù da conoscere per sviluppare un comportamento etico “Comunicare è creare uno spazio comune di relazione con tutti e con il tutto, nella prospettiva di un’intesa e non di una separazione.” Non è forse ciò a cui tende anche il fundraising di un’organizzazione non profit? Io ne sono fermamente convinta.

 

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