Cosa hanno in comune gli italiani che fecero la Resistenza con quelli che oggi si prendono cura dei beni comuni? Tante cose. Innanzitutto, il rifiuto di delegare ad altri tutte le risposte ai propri problemi. Gli uomini e le donne che fecero la Resistenza non aspettarono di essere liberati dagli eserciti alleati, ma si diedero da fare per conto proprio. Sapevano benissimo che da soli non sarebbero mai riusciti a sconfiggere i nazi-fascisti, che ci volevano i carri armati, i cannoni, gli aerei, i soldati degli alleati per battere quelli dei nazisti e dei fascisti. (Scopri di più su: Labsus.org)
Avrebbero potuto, come la maggior parte dei loro concittadini, attendere gli eventi cercando di non esporsi troppo per poi, come diceva Flaiano, “correre in soccorso del vincitore”. E avrebbero potuto legittimamente giustificarsi dicendo che le guerre le fanno i militari, non i civili e che loro non avevano i mezzi né le competenze per combattere. E invece si assunsero la responsabilità di contribuire a liberare se stessi e gli altri, con i mezzi che avevano, rischiando la galera e la vita, dando un contributo in alcuni casi essenziale, ma sempre comunque utile, alla sconfitta dei nazi-fascisti.


I cittadini attivi danno (alcune) risposte

I cittadini attivi che si prendono cura dei beni comuni ovviamente non corrono alcun rischio. Ma per il resto sono sotto molti profili simili agli italiani che parteciparono alla Resistenza. Hanno senso di responsabilità, intraprendenza, ideali ma anche capacità organizzative, voglia di protagonismo ma anche solidarietà… Anche i cittadini attivi potrebbero legittimamente sostenere che, così come spetta ai soldati e non ai civili combattere, allo stesso modo spetta alle amministrazioni e non ai cittadini amministrare, pertanto non tocca a loro occuparsi dei beni comuni. E potrebbero altrettanto legittimamente obiettare che, per quanto i cittadini possano impegnarsi, ci vogliono i mezzi, l’organizzazione e il personale delle pubbliche amministrazioni per garantire nelle nostre città standard di vita adeguati ad un Paese civile.

Tutto vero. Eppure, come già durante la Resistenza, così anche oggi questo schema fondato sulla delega è messo in discussione da alcune centinaia di migliaia di persone che, per quanto strano possa sembrare, decidono di assumersi in prima persona responsabilità che non spetterebbero a loro. I motivi per cui lo fanno possono essere i più vari, ma alla fine crediamo che il punto cruciale stia nel fatto che anche i cittadini attivi, come gli uomini e le donne che parteciparono alla Resistenza, sono persone che hanno una certa visione del mondo e del proprio ruolo. Essenzialmente, sono persone molto responsabili, nel senso etimologico del termine, che viene dal latino respondere. Sono cioè persone che “danno risposte”, pur sapendo di non poter dare “tutte le risposte”.


Difendere l’onore della nazione

E questo è un altro punto di contatto fra i partigiani e i cittadini attivi, entrambi consapevoli che il loro ruolo non può che essere “sussidiario”, cioè di aiuto ad altri, più attrezzati e organizzati di loro. I partigiani nei confronti degli eserciti alleati, i cittadini attivi nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Ma in entrambi i casi l’esser sussidiario non viene vissuto come una condizione di subalternità o di supplenza, anzi. C’era collaborazione fra partigiani ed alleati, così come grazie all’amministrazione condivisa ce n’è fra cittadini attivi e amministrazioni locali. Ma i partigiani, pur collaborando con i comandi alleati, non erano nei loro confronti soltanto autonomi, erano molto di più. Essi si sentivano ed erano responsabili della difesa dell’onore della nazione italiana, essendo la nazione (come ha insegnato Federico Chabod) un’entità diversa e precedente lo Stato nelle sue varie forme.

Gli uomini e le donne che partecipavano alla Resistenza lo facevano innanzitutto per un obiettivo fondamentale, per essere liberi e vivere in pace, ma sapendo benissimo che la loro azione contribuiva a dare dignità a tutti gli italiani, nonostante tutto quello che era successo durante il fascismo. I partigiani dal punto di vista militare erano certamente sussidiari degli alleati, ma dal punto di vista ideale e politico erano loro pari, perché difendevano quello che oggi chiameremmo un bene comune immateriale, l’onore del nostro popolo.


Perseguire l’interesse generale

Anche i cittadini attivi si mobilitano per motivi molto concreti, per vivere meglio, in città più belle. Anch’essi (come i partigiani nei confronti degli alleati) sono sussidiari dell’amministrazione ma non ad essa subalterni né supplenti, anzi, essi sono nei suoi confronti non soltanto autonomi (perché decidono liberamente se, quando e come intervenire per prendersi cura dei beni comuni) ma, sul piano ideale, suoi pari.

I cittadini attivi (lo dice la Costituzione all’art. 118, ultimo comma), perseguono l’interesse generale, così come le amministrazioni perseguono gli interessi pubblici. E poiché l’interesse generale comprende al proprio interno sia gli interessi pubblici sia quelli privati (pur non essendo la semplice somma di tali interessi), i cittadini attivi che perseguono l’interesse generale sono forse addirittura in una posizione sovraordinata rispetto alle amministrazioni che perseguono singoli interessi pubblici.


Minoranze, ma influenti

Sia i partigiani sia i cittadini attivi sono soltanto sussidiari, cioè di aiuto, nei confronti gli uni degli alleati, gli altri delle amministrazioni pubbliche. Il loro contributo, per quanto importante, integra, non sostituisce quello altrui, sia perché istituzionalmente il compito di combattere e di amministrare spetta ad altri, sia perché entrambi sono pur sempre una minoranza.

Essere minoranza, sia pure in situazioni molto diverse fra loro, è un altro punto di contatto fra gli uomini e le donne che fecero la Resistenza ed i cittadini attivi. Certo, c’è modo e modo di essere minoranza. I partigiani a volte erano visti con diffidenza, quando non addirittura con ostilità, da una parte della popolazione e rischiavano la delazione e la cattura, mentre nei confronti dei cittadini che si prendono cura dei beni comuni c’è in generale (non sempre) un atteggiamento positivo, a volte addirittura di ammirazione e apprezzamento.

Tuttavia, per quanto sia un fenomeno che in questi ultimi anni ha conosciuto tassi di crescita e di diffusione imprevedibili, è difficile immaginare che la cura dei beni comuni da parte degli abitanti delle nostre città diventi un fenomeno di massa, per tanti motivi, sociali, culturali, pratici. Ma, così come nel caso dei partigiani, non è tanto importante il numero dei cittadini attivi quanto l’effetto che il loro intervento produce sul resto della società.


Più dei numeri contano gli effetti

La Resistenza ha contribuito a salvare l’onore della nostra nazione, forgiando un’intera classe dirigente il cui ruolo è poi stato determinante per decenni nel governo della Repubblica. I cittadini attivi producono capitale sociale, senso di appartenenza, facilitano l’integrazione e la coesione a livello territoriale, ricostruendo i legami di comunità e consentendo la nascita di rapporti di fiducia fra le persone. E, per quanto riguarda la formazione della classe dirigente, è molto probabile che fra i cittadini attivi di oggi vi siano alcuni degli amministratori locali di domani.

In entrambi i casi la misura del successo non è data dal numero di persone che rispettivamente hanno partecipato alla Resistenza e oggi partecipano alla cura dei beni comuni, bensì dall’influenza diretta e indiretta delle loro azioni, che è stata ed è molto maggiore di quanto appaia guardando solo ai numeri.

In particolare, per quanto riguarda i cittadini attivi è fondamentale il ruolo per così dire “pedagogico”, educativo che essi svolgono nei confronti degli altri soggetti presenti sul territorio. L’efficacia di qualsiasi forma di comunicazione si misura non tanto dal numero dei soggetti che essa raggiunge, ma dal numero di coloro che in seguito ad essa cambiano comportamento. Il fatto stesso che il fenomeno della cura condivisa dei beni comuni sia in crescita dimostra che gli interventi di cura dei beni comuni posti in essere dai cittadini attivi comunicano in maniera molto efficace, inducendo migliaia di persone a cambiare i propri comportamenti.


Un discorso che prosegue

In conclusione, gli italiani che oggi si prendono cura dei beni comuni hanno tante cose in comune con gli uomini e le donne che fecero la Resistenza. Sono persone libere, autonome, responsabili, che non delegano ad altri la soluzione dei problemi, piene di iniziativa, che non si preoccupano di essere in minoranza ma si battono per ciò in cui credono, pur sapendo che anche altri, indifferenti o addirittura ostili, si avvantaggeranno dei risultati del loro impegno.

I partigiani lottavano per il cambiamento usando la forza e le armi, i cittadini attivi cercano di cambiare le realtà in cui vivono non con il potere, che non hanno, ma con l’esempio. Di fatto, i cittadini attivi stanno usando metodi di lotta non violenti. In questo (e non solo in questo, ovviamente) c’è una grande differenza con i partigiani. Ma il punto importante e che dà fiducia è la constatazione che nei momenti di crisi, oggi come alla fine della guerra, l’Italia è capace di mobilitare minoranze significative di cittadini motivati, competenti e solidali, che orientano la storia e indicano una strada possibile per uscire dalla crisi, liberando energie nascoste. Per questo, dalla Resistenza ai cittadini attivi, è un discorso che prosegue.

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