Il 19 luglio la Corte d’appello di Rabat ha condannato 23 attivisti sahrawi a pene da due anni all’ergastolo in relazione agli scontri seguiti al violento smantellamento di un campo di protesta a Gdim Izik, nel Sahara occidentale, nel 2010. In quell’occasione erano stati uccisi 11 membri delle forze di sicurezza marocchine e due manifestanti sahrawi.

Un primo processo in corte marziale, gravemente irregolare, si era chiuso nel 2013 con condanne simili. Nel luglio 2016 la Corte di cassazione aveva annullato il verdetto, non avendo riscontrato prove certe che collegassero gli imputati agli episodi di violenza loro ascritti. La Corte di Cassazione aveva pertanto ordinato lo svolgimento di un nuovo processo, di fronte a un tribunale civile.

Il processo presso la Corte d’appello di Rabat si è chiuso con otto ergastoli e 11 condanne dai 20 ai 30 anni. Gli altri quattro imputati sono stati condannati a pene da due a sei anni e mezzo e dovrebbero essere rilasciati in quanto si tratta di periodi di carcere già scontati dal momento dell’arresto.

Il processo in un tribunale civile avrebbe potuto essere l’occasione per mostrare equità di giudizio, rimediando alle irregolarità del primo processo. Invece, le reiterate denunce relative alle torture che gli imputati avrebbero subito durante gli interrogatori non sono state esaminate neanche in questa occasione.

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