La stilista che ha lavorato per Prada e Ferragamo racconta il suo approdo alle collezioni eque e sostenibili di Altromercato.

Donatella Pavan

Etica e passione per la moda, due parti di sé che Marina Spadafora è riuscita far andare di pari passo nella sua attività, sposando le sue capacità di stilista con la sapienza degli artigiani del Sud del mondo.

Costumista cinematografica, stilista in proprio e per grandi marchi, non si è mai accontentata di disegnare abiti per puro guadagno o piacere estetico: il tempo le ha dato ragione. Oggi è il Direttore creativo del marchio di Altromercato "Auteurs du monde", una linea creata artigianalmente sotto il suo occhio esperto.

Conciliare lavoro e ideali

I suoi occhi (blu) ridono quando spiega come, dopo anni di lavoro nel fashion system, per Miu Miu, Prada e Salvatore Ferragamo, sia finalmente riuscita a conciliare i propri ideali con il lavoro di stilista.

«Le mie convinzioni spirituali ed etiche sono sempre state forti, ma quello che so fare, ovvero lavorare nella moda, disegnare, fare abbigliamento, non mi permetteva di esprimerle. Diciamo che è un mondo "effimero", o perlomeno non così fondamentale rispetto a chi, per esempio, fa ricerca per scoprire il vaccino per l'AIDS», aggiunge.

«Trovavo difficile passare ore ed ore a discutere di cose che non consideravo importanti, a discutere della lunghezza di una gonna piuttosto che la tonalità, perché non aveva un segno nobile che guardasse più in là oltre al mero guadagno e l'estetica».

Un incontro che cambia la vita

La svolta è nel 2007 quando viene contattata da Mauro Pavesi, giovane imprenditore italiano che aveva vinto l'Ifu, un concorso danese per la promozione di progetti etici e sostenibili.

«Lui aveva fatto un progetto per realizzare una linea d'abbigliamento tutta a filiera africana e in materiali biologici, mi ha cercata perché aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a mettere in piedi la cosa: è stato il mio battesimo con questo mondo».

Le strade di chi è animato da ideali comuni, si sa, spesso si incrociano. Con i soldi vinti grazie a questo progetto Spadafora e Pavesi scoprono l'esistenza di Sekem, una comunità egiziana che coltiva lino e cotone bio secondo i principi di biodinamici di Steiner.

Sekem diventa il fornitore dei materiali, mentre in Etiopia trovano i produttori che fanno al caso loro, perfetti per una produzione limitata (un piccolo numero di capi nelle varie taglie). Nasce così Banuq (www.banuq.com), ovvero Beautiful African Natural Unique Quality.

L'esperienza africana le dà una forte visibilità, viene invitata dal National Trade Center, un'organizzazione dell'Onu che si occupa di portare lo sviluppo nel Sud del Mondo tramite la moda, e, sempre con Banuq, a Roma durante le sfilate d'Alta moda nella sezione Moda etica, e, a coronamento del tutto ad Interlaken, in Svizzera, per il Congresso del cotone biologico mondiale.

Poco dopo viene contattata sia da Cangiari (il marchio biologico antiandrangheta per il quale ha supervisionato le prime collezioni) che da Altromercato. «Finalmente io ero circondata da queste realtà che sposavano i miei ideali con il mio saper fare la moda», racconta Spadafora,«e ora il mio mondo è questo: mi occupo esclusivamente di moda etica».

I valori del commercio equo

CTM, ovvero Altromercato, voleva rilanciare l'abbigliamento e renderlo più vicino ai canoni della moda occidentale pur conservando i valori fondamentali del commercio equo e sostenibile.

«La prima collezione che ho disegnato per Altromercato è "Auteurs du monde", ovvero autori nel mondo. È un omaggio ai nostri artigiani con i quali noi lavoriamo nel continente asiatico, in Africa e in Sud America. Appartengono prevalentemente a cooperative sociali che sottostanno alle regole del Commercio Equo e Solidale, ovvero alla WFTO, la World Fair Trade Organization, un'organizzazione molto seria con regole precise che devi seguire se vuoi farne parte», racconta.

«Ad esempio: non usare lavoro minorile, dare la paga giusta, far lavorare i dipendenti in un ambiente sano, accogliente e sicuro (in alcuni Paesi non è così ovvio). Spesso sono persone illuminate, in Nepal per esempio, c'è quello che io chiamo il futuro della nostra società, sono imprenditori sociali, ovvero persone che decidono di fare imprenditoria investendo nel sociale», continua la stilista.

«A Katmandu c'è un gruppo di persone che realizza la nostra maglieria. Con quest'attività sostengono un programma scolastico di kindergarten, una scuola elementare e una scuola di avviamento ai diversi mestieri, dal fare i tappeti alla falegnameria e altri mestieri, tutte gratuite.

Esiste anche un'altra realtà con la quale lavoriamo, sempre in Nepal, dove a capo della cooperativa c'è oggi una donna, ex docente universitaria che si occupava della condizione delle donne in varie aree svantaggiate del Paese.

Dopo anni ha voluto fare qualcosa di concreto. Ha messo insieme quest'associazione che raggruppa alcune artigiane delle campagne nepalesi, le organizza e dà loro una mano per fatture e spedizioni.

È l'unico futuro possibile per queste società: il capitalismo puro abbiamo già visto che non funziona, la speculazione e l'avidità stanno distruggendo il mondo e i mercati sono entità virtuali. Se tu vuoi realizzare un'attività commerciale e fare dei soldi, lo puoi fare ma con un occhio alla tua comunità, al sociale».

Alcuni capi della collezione "Auteurs du monde", come il jersey di cotone, sono in tessuto biologico, altri sono in materiali riciclati ma tutti hanno una matrice etica forte. Conclude Spadafora: «Per esempio, facciamo abiti in sari riciclato e tutto quello che viene tinto, con colori naturali, ha il certificato Azofree, una certificazione entrata in vigore il 20 luglio 2010 che garantisce che le tinture utilizzate sono prive di sostanze che inquinano il terreno, l'ambiente e l?uomo quando sono dimesse dalla tintoria».

«Ogni capo "Auteurs du monde", insomma, ha un contenuto moda, un contenuto estetico e tutta una serie di plusvalenze etiche che lo rendono unico», conclude Spadafora.

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