ROMA - Si chiamano Dating 4 disabled, Poz Personals, NoLongerLonley e sono siti nati negli Stati Uniti per mettere in contatto persone malate e disabili che vogliono fare amicizia o - perché no? - trovare un partner. Ma ci sono anche quelli che, preferendo una seconda vita dove sia possibile costruirsi ad arte una nuova identità, se la vanno a cercare su Second life dove si può - almeno a livello virtuale - correre e danzare o comunque fare tutto ciò che nell'esistenza reale è difficile o precluso. Anche social network come Facebook e Netlog, ormai diffusissimi in Italia, offrono la doppia possibilità: rivelarsi o celarsi. Due opzioni diverse, ma entrambe ricche di risvolti. Dichiarando apertamente la propria identità si ha possibilità di trasformare la disabilità in terreno di confronto e discussione, nascondendola invece si ha la libertà di affrancarsi da una condizione che - perfino in rete - può essere ancora fonte di tanti pregiudizi e pietismi.

L'argomento è talmente avvincente da aver attirato, negli ultimi tempi, l'interesse di molti. Recentemente un gruppo di ricercatori dell'Università del Winsconsin ha deciso di studiare l'impatto dei social network sulla vita delle persone disabili. Ne viene fuori un quadro a tinte talmente rosa da indurre i curatori della ricerca a suggerire l'uso di Second Life come parte integrante dei programmi di riabilitazione più aggiornati. Il dibattito si è fatto strada anche in casa nostra e su SuperAbile.it lo storico e blogger Matteo Schianchi è tornato a più riprese sul legame vita reale e vita virtuale legato alla disabilità. Ma, come di consueto, con atteggiamento più critico e complesso rispetto ai ricercatori d'Oltreoceano.

È vero - scrive Schianchi - la rete fa ormai parte dell'esperienza quotidiana di molte persone, anche disabili. Ed è spesso acclamata e celebrata come occasione insostituibile per informarsi, comunicare e fare amicizia. Mentre i siti "dedicati" alle persone con disabilità, nati di recente negli Stati Uniti, offrono l'evidente vantaggio di evitare possibili sorprese e imbarazzi, selezionando fin dal principio una platea di amici virtuali che condividono gli stessi problemi o, per lo meno, conoscono in anticipo l'identità dei propri interlocutori. Eppure anche in questo caso, il dubbio resta: per Schianchi il pericolo di usare nuovi strumenti per riproporre vecchi ghetti è sempre all'orizzonte. Per non parlare del rischio, ancora più allarmante, di fare leva sulla quella morbosa curiosità che nell'Ottocento spingeva folle di "normodati" alla ricerca di freaks e fenomeni da baraccone. Che ancora ai giorni nostri (si potrebbe aggiungere) alberga, pura e incontaminata, in alcuni programmi Tv che sfuggono perfino agli strali dei commentatori più severi.

Qualche tempo fa una lettrice di SuperAbile ha raccontato la sua esperienza proprio sul blog di Schianchi. Non vedente dalla nascita, Elena non ha mai voluto nascondere la propria disabilità. Ma scontrandosi con "pregiudizi esistenti anche su Internet" ha deciso di crearsi un'identità fittizia completamente diversa da quella reale. Non solo non ha mai fatto cenno della propria disabilità, ma ha scelto di trasformarsi in un ragazzo dalla vita felice e serena, convinta che "una donna non vedente si mette nei guai, un uomo vedente ha il via libera per tutto". Tutto sembrava funzionare, se non fosse stato per l'affacciarsi a un certo punto di un piccolo problema: in questo modo Elena si è creata un nuovo handicap. Ha costruito intorno a sé un'autentica gabbia fatta di relazioni sociali, che poi non è stata "più in grado di riscattare in reale" perché ci sono troppe "spiegazioni da dare, troppe difficoltà, troppe bugie da smontare". Insomma, conclude la lettrice, "anziché contribuire allo stigma che ci appioppano, chiudendoci ulteriormente, cerchiamo di informarci ed informare le persone sulla nostra condizione, combattendo il pietismo con la determinazione e l'informazione a 360 gradi".

La vicenda di Elena dà in qualche modo ragione a Matteo Schianchi. La realtà è più complessa di quello che sembra e le esperienze concrete si prestano a letture più sfaccettate di quelle suggerite dai ricercatori del Winsconsin. Il dibattito è aperto, e la singolarità delle storie individuali conta probabilmente più delle teorie (per quanto accademicamente accreditate). Per questo, SuperAbile.it lancia un appello ai suoi lettori. Voi che rapporto avete con il web e i social network: meglio dichiararsi o nascondersi? Raccontateci la vostra esperienza scrivendo a superabile@inail.it.

La redazione di SuperAbile ne darà conto sul portale.

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