Erano le 
13.15 del 21 marzo 1960 quando a Sharpeville, nei pressi di Johannesburg, la 
polizia sudafricana aprì il fuoco su una folla di dimostranti inermi. Le stime 
ufficiali parlarono di 69 morti e 180 feriti, molti dei quali colpiti 
alla schiena, prova tangibile che stavano cercando di fuggire. Una 
manifestazione di neri e “colorati” come molte altre di quell’anno, 
indette per protestare contro la stretta della segregazione razziale imposta 
dal National Party nel secondo dopoguerra e che dal 1952 aveva aggiunto ai 
provvedimenti di segregazione razziale nell’educazione, nel lavoro, nella sfera 
familiare, nelle libertà civili e politiche fondamentali, anche la cosiddetta 
“legge del lasciapassare”, che prevedeva che i cittadini sudafricani neri 
dovessero esibire uno speciale permesso se fermati dalla polizia in un’area 
riservata ai bianchi. I lasciapassare venivano concessi però solo ai neri che 
avevano un impiego regolare nell'area in questione, un elemento non di poco 
conto: la norma si poneva così da anni come un ulteriore limite alla libertà di 
movimento (oltre che di residenza) per non bianchi all’interno del territorio 
nazionale.
La spinta emozionale suscitata dal massacro di Sharpeville 
fu tale che nel 1966 l’Organizzazione delle Nazioni Unite, su impulso dei 
Paesi afro-asiatici di nuova indipendenza che in quegli anni erano entrati a far 
parte della struttura multilaterale, individuò nella data del 21 marzo la Giornata 
Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale. 
L’obiettivo, come di consueto, era di esortare la comunità internazionale a 
raddoppiare gli sforzi per eliminare tutte le forme di discriminazione razziale, 
anche rescindendo i legami con quegli Stati che strutturavano o non 
intervenivano in situazioni di segregazione razziale, attraverso l’osservanza di 
embarghi economici e politici. 
Se infatti il regime sudafricano, per l’ampiezza e la profondità 
dell’aberrante sistema di segregazione creato, si sostanziava perfettamente 
quale modello negativo, vi erano però anche altre popolazioni “non bianche” che 
subivano un’analoga sorte. Gli attuali territori della Namibia, dello 
Zimbabwe, dell’Angola e del Mozambico ad esempio. Ma non solo in Africa 
meridionale. La battaglia per i diritti civili condotta dagli afro-americani 
negli Stati Uniti si mise anch’essa in moto nella metà degli anni 
Cinquanta, raggiungendo secondo alcuni un compimento solo oggi, a seguito 
dell’elezione di un presidente non bianco. Al pari, anche lo smantellamento del 
regime di apartheid è piuttosto recente, sancito simbolicamente dall’elezione di 
Nelson Mandela a presidente della Repubblica nel maggio 1994.
Dunque non si deve guardare alla vittoria sull’apartheid e alla sua 
commemorazione soltanto come un motivo di compiacimento, ma come una nuova 
chiamata all'azione. Tanto è vero che proprio quando le luci sull’odio razziale 
si stavano abbassando in Sudafrica, iniziarono a divampare focolai di guerra 
mossi da contrasti e discriminazioni etniche e razziali nel cuore dell’Europa, e 
precisamente nella ex Jugoslavia. 
Ma questa commemorazione serve anche a segnalare la rinascita di altre ideologie e pratiche razziste, in 
particolare nei settori economico e sociale, e la persistenza delle forme sottili di razzismo e di 
discriminazione razziale che assumono le forme di nazionalismo o di 
preferenza nazionale o continentale. Ci ricorda che il nostro mondo, nonostante 
i progressi tecnologici e i mass media abbiano fatto molto per aumentare la 
comunicazione internazionale, la conoscenza e la comprensione, non è esente da 
xenofobia, odio e focolai di conflitti etnici. Sui cinque 
continenti, i lavoratori migranti, i richiedenti asilo, le minoranze etniche, nazionali e religiosi e le popolazioni indigene sono ogni giorno di fronte a pratiche 
discriminatorie ed esposti alla violenza razzista. La libertà di circolazione tra i diversi paesi è sempre più 
sottoposta a misure restrittive, alcune delle quali sembrano essere ispirate da 
considerazioni razziste e xenofobe.
Nonostante, dunque, i sistemi di segregazione razziale più aberranti siano 
venuti meno negli ultimi decenni, molte rimangono le forme di discriminazione 
razziale ancora diffuse nel mondo, anche nell’Europa campione nella tutela dei 
diritti umani.
Miriam Rossi