Allarme della Corte dei conti e degli attuari. L’austerità del governo 
Monti fa saltare i conti pubblici e mette a rischio anche le pensioni 
Inps che avrebbe voluto salvare.
Luca Aterini
Arriva dalla
 Corte dei conti l'ultima mazzata al governo Monti, che solo da pochi 
giorni ha passato il testimone al suo successore Enrico Letta. Secondo 
la relazione che la Corte dei conti ha illustrato al parlamento, le 
leggi di spesa pubblicate negli ultimi quattro mesi dal governo dei 
professori assomigliano molto a un colabrodo.  Una volta morto, chiunque
 diventa un santo. L'esecutivo Monti non sembra però seguire la stessa 
sorte, tanto che anche il Sole24Ore riassume: si tratta di un «rosario 
di norme e normette prive di copertura e stimate approssimativamente, o 
addirittura nemmeno stimate - riassume il Sole24Ore -, spesso inserite 
più o meno di soppiatto in maxi emendamenti corredati di voto di fiducia
 perfino aggirando i veti dell'Economia, della Ragioneria o delle 
commissioni Bilancio di Camera e Senato».
Quello che doveva 
essere il governo dei professori - algido ma pragmatico e lontano dai 
vezzi e dalla confusione cui la politica italiana ci ha ormai abituato -
 cade proprio sul rigore dei conti, il suo cavallo di battaglia. Ma c'è 
di più. Secondo l'allarme lanciato dai professionisti dei calcoli 
previdenziali in vista delle Giornate nazionali della previdenza, il 
sistema pensionistico «non può essere considerato finanziariamente 
sostenibile». La posizione degli attuari, spiegata dal quotidiano di 
Confindustria, è che la riforma Monti-Fornero non elimina «le 
problematiche legate alla diminuzione del tasso d'occupazione e alla 
possibile riduzione dei redditi a fronte di un aumento del costo delle 
pensioni per l'allungamento della vita media».
C'è solo da 
immaginare che ne pensa il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, 
che appena l'anno scorso dichiarava all'Ansa: «I numeri confermano che 
il sistema è in sicurezza. Le riforme fatte stanno dispiegando i loro 
effetti con risultati positivi sulla finanza pubblica». Adesso, gli 
attuari affermano il contrario, ed è rapido il nesso alle crescenti 
pressioni per la diffusione di fondi pensione integrativi (e privati).  
In realtà, si tratta soltanto dell'ennesima conferma di quanto sia non 
solo inutile, ma anche dannosa, la purga della vuota austerità che 
l'Europa continua a sorbirsi sotto l'ideologia dei paesi filo-tedeschi, 
sperando invano che il mal di pancia della crisi passi. Ottenendo 
soltanto, invece, di peggiorare ulteriormente i conti pubblici, che 
colano a picco insieme all'economia mantenuta in recessione. Allo stesso
 modo, il prolungamento dell'età pensionabile non è la soluzione ai 
conti dell'Inps - e nemmeno quello alla vecchiaia degli italiani. 
Aggrava anzi la precondizione stessa per il pagamento delle pensioni, 
ossia l'entrata nel mercato del lavoro di forza lavoro fresca che, 
insieme al proprio reddito, possa creare le risorse economiche per 
pagare le pensioni ai propri padri.
Da questo punto di vista 
rimane dunque interessante la proposta d'introdurre la staffetta 
generazionale, «un esame - scrive il Corriere della Sera - che partirà 
da un disegno di legge già pronto, sul quale lo stesso Letta ha messo 
gli occhi, e presentato da Giorgio Santini, ex segretario aggiunto Cisl 
ora senatore del Pd». Con la staffetta, un lavoratore anziano (a parità 
di contributi pensionistici) accetta un part-time per far entrare in 
azienda un giovane a tempo indeterminato a cui fare da tutor. Una 
strategia con del potenziale per rilanciare specialmente l'occupazione 
femminile, da sempre attenta al part-time.
Ma un'azione di 
respiro complessivo e dall'impatto immediato, date le condizioni 
macroeconomiche attuali, al momento rimane soltanto la creazione diretta
 di lavoro da parte dello Stato. Quell'Agenzia per l'occupazione 
illustrata dal sociologo Luciano Gallino sulle nostre pagine, che 
avrebbe le porte spalancate in Parlamento (è o non è l'emergenza lavoro,
 quella su cui a parole si sperticano tutti i partiti?).
Questa 
manovra di lavoro minimo, indirizzata sulla mitigazione del rischio 
idrogeologico, sulla tutela del territorio, sulla valorizzazione del 
patrimonio pubblico e la cura del tessuto sociale, darebbe lavoro utile 
per un'economia più sostenibile, reddito e speranza per tanti italiani. 
Senza essere un costo reale per lo Stato, divenendo immediatamente nuova
 ricchezza in circolo. «Ipotizzando una cifra pari a 25mila euro a 
occupato - ha spiegato Gallino - per un milione di disoccupati avremmo 
un totale di 25 miliardi». L'1,5% del Pil italiano, quando solo 
rimediando agli sprechi della spesa pubblica per appalti potremmo 
recuperane il doppio, 50 miliardi di euro. Su tali e "piccoli" numeri 
(per il bilancio di uno Stato come l'Italia) balla il destino di tanti 
concittadini.