In un nuovo rapporto pubblicato ieri, Amnesty International ha accusato il 
presidente del Kazakhistan, Nursultan Nazarbaev, di ingannare la comunità internazionale con promesse non mantenute di sradicare la tortura e indagare sull'uso della forza letale da parte della polizia.  Il 
rapporto, intitolato Vecchie 
abitudini: l'uso regolare della tortura e dei maltrattamenti in Kazakhistan, 
denuncia come le forze di sicurezza agiscano con impunità e come la tortura nei 
centri di detenzione sia la norma.
Il documento di Amnesty International 
prende le mosse dalla repressione delle proteste di 
Zhanaozen, nel dicembre 2011, quando almeno 15 persone furono uccise e 
oltre 100 gravemente ferite dalle forze di sicurezza. Decine di persone vennero 
arrestate, imprigionate in celle sotterranee e sovraffollate delle stazioni di 
polizia e torturate.
A tale proposito, Amnesty International ha 
sollecitato il presidente Nazarbaev ad autorizzare e facilitare un'inchiesta 
indipendente internazionale sull'uso della forza letale a Zhanaozen, come 
raccomandato dall'Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi 
Pillay.
"A Zhanaozen le forze di sicurezza ferirono e uccisero numerose 
persone, poi arrestarono e torturarono chi aveva preso parte alle proteste. Ma 
le autorità hanno garantito l'impunità, venendo clamorosamente meno all'obbligo 
di indagare su queste violazioni dei diritti umani" - ha dichiarato Nicola 
Duckworth, direttrice delle Ricerche di Amnesty 
International.
"Nonostante le autorità asseriscano continuamente di aver 
svolto indagini approfondite e imparziali, 17 mesi dopo le violenze di Zhanaozen 
non vi è stata alcuna giustizia per l'uso eccessivo e letale della forza, gli 
arresti arbitrari, i maltrattamenti e le torture su cui si sono basati 
innumerevoli processi irregolari" - ha proseguito Duckworth.
Un'indagine 
avviata nel 2012 ha determinato la condanna a soli cinque di alti dirigenti 
delle forze di sicurezza per "abuso d'ufficio".  Nessun altro provvedimento è 
stato preso, invece, nei confronti di tanti altri funzionari, anche verso chi 
aveva pubblicamente ammesso di aver sparato ai manifestanti.
Secondo le 
testimonianze oculari, le persone arrestate furono 
detenute in incommunicado in celle 
sovraffollate, isolate dal mondo esterno. Qui vennero denudate, 
picchiate, prese a calci e colpite da getti d'acqua fredda. Almeno una persona 
morì sotto tortura. Tuttavia, il controllo da parte di coloro che sono stati 
autorizzati ad avere accesso non poteva essere condotto in modo indipendente e 
approfondito. 
Nel corso del suo processo, nel 2012, Roza Tuletaeva, 
attivista per i diritti dei lavoratori, accusata di essere tra gli organizzatori 
delle proteste di Zhanaozen, ha denunciato di essere stata appesa per i capelli, 
di essere stata quasi soffocata con una busta di plastica stretta intorno al 
capo e di aver subito umiliazioni sessuali. Agenti delle forze di sicurezza 
minacciarono di fare del male a sua figlia di 14 anni. Al termine del processo è 
stata condannata a cinque anni di carcere per "incitamento alla discordia 
sociale".
Le autorità continuano a dichiarare infondate le denunce di 
tortura, comprese quelle fatte sotto giuramento in tribunale da persone 
arrestate a seguito delle violenze a Zhanaozen. In una parodia della giustizia, 
gli stessi inquirenti che avevano ordinato gli arresti sono stati anche 
incaricati di indagare sulle denunce di 
tortura.
Il rapporto di Amnesty International cita il caso di 
Bazarbai Kenzhebaev, morto il 21 dicembre 2011, due giorni dopo essere stato 
rilasciato dalla custodia di polizia. Ai suoi familiari e a un giornalista russo 
aveva denunciato di essere stato torturato nella stazione di polizia di 
Zhanaozen. L'allora direttore ad interim del centro di detenzione, Zhenishbek 
Temirov, è stata l'unica persona incriminata e condannata. Non è stato fatto 
alcun reale tentativo per individuare gli altri autori delle torture a Bazardai 
Kenzhebaev.
"Non solo la tortura e i maltrattamenti sono radicati, ma 
questi non si limitano alle aggressioni 
fisiche da parte degli agenti delle forze di sicurezza. Le condizioni 
di prigionia sono crudeli, disumane e degradanti, i prigionieri vengono puniti 
con lunghi periodi di isolamento, in violazione degli standard internazionali"- 
ha proseguito Duckworth.
Aron Atabek, scrittore e poeta dissidente di 60 
anni, è stato arrestato nel 2006 e successivamente condannato per aver preso 
parte a disordini di massa e per l'uccisione di un poliziotto. Da allora, ha 
trascorso due anni e mezzo in isolamento.  Nel novembre 2012 è stato condannato 
a un altro anno di isolamento, da trascorrere nella prigione di massima 
sicurezza di Arqalyk, a 1650 chilometri di distanza dalla sua città.
Nel 
2010, le autorità del Kazakhistan dichiararono alle Nazioni Unite che 
"[avrebbero] agito fino a quando tutte le tracce della tortura non [fossero 
state] totalmente eliminate".
Un anno dopo, tuttavia, il presidente 
Nazarbaev ha trasferito il controllo dell'intero sistema penitenziario dal 
ministero della Giustizia a quello degli Affari interni, contro il quale era 
stata presentata la maggior parte delle denunce di tortura.
"È chiaro che 
l'asserito impegno del governo di sradicare la tortura è a solo uso della 
comunità internazionale, un tentativo di ingannare l'opinione pubblica nazionale 
e internazionale mentre la tortura e i maltrattamenti proseguono senza sosta e 
senza impedimenti. Le promesse del presidente Nazarbaev alle Nazioni Unite 
risulteranno vuote fino a quando egli non autorizzerà un'inchiesta indipendente 
internazionale che potrà chiamare in causa il fallimento della giustizia locale 
durato oltre un anno. Altrimenti, le forze di sicurezza continueranno ad agire nell'impunità" - ha concluso 
Duckworth.