Jaime Martínez Veloz, il commissario nazionale per il dialogo con i popoli indigeni della Secretaría de Gobernación (Segob, il ministero degli interni del Messico), ha detto a Millennium che «In Messico ci sono almeno 30 “focos rojos” (punti caldi) di dispute territoriali tra le comunità indigene e le imprese minerarie straniere che possono rappresentare un focolaio di instabilità sociale in alcune regioni del paese».

di Umberto Mazzantini

I punti più caldi del conflitto sono nello Stato di Oaxaca, con il caso della miniera di argento dell’impresa canadese San José El Progreso, ed in Baja California, Puebla, Veracruz, Chiapas, San Luis Potosí, Durango, Nayarit, Morelos, Tlaxcala e Chihuahua, dove operano multinazionali straniere.

Martínez ha ricordato che con la “ley de consulta indígena”, che accoglie le raccomandazioni dell’Onu, si cerca di favorire protocolli di intesa con le comunità interessate dall’espansione mineraria per evitare scontri che sono sempre più frequenti con le imprese straniere che ricevono le licenze per sfruttare le risorse naturali. Protocolli che dovrebbero essere approvati «Previa consultazione dei pueblos e con l’impegni di preservare l’ambiente».

Il commissario del Segob dice che «In alcuni casi, quando le vie legali sono esaurite, ci si è avvalsi del ricorso alla Suprema Corte de Justicia de la Nación (Scjn) per revocare le licenze di utilizzo dei suoli in possesso delle imprese e per restituirli ai possidenti di terra del territorio, facendo valere una giurisprudenza approvata ed emessa dalla Corte Interamericana de los Derechos Humanos (Cidh) sul diritto del popolo alla terra. Quello che stiamo realizzando ora con la “ley de consulta indígena” è che mai più un presidente possa cedere agli stranieri quello che appartiene ai popoli indigeni del Messico».

Sarebbe davvero una svolta, visto che gli ultimi tre presidenti messicani, Ernesto Zedillo, Vicente Fox e Felipe Calderón, in nome del liberismo hanno attuato una feroce politica dui land grabbing delle terre comunitarie, regalando letteralmente 96 milioni di ettari a diverse multinazionali che hanno saccheggiato le risorse naturali di molte comunità, soprattutto argento ed oro, provocando disastri ambientali, economici e sociali.

Ma potrebbe essere già troppo tardi: il land grabbing minerario è stato enorme, tanto che secondo lo “Estudio de la minería en México, elaborado por la Comisión para el Diálogo con los Pueblos Indígenas, de la Segob”, «Dal 1993 (l’anno in cui iniziarono i negoziati per l’apertura del Messico al libero mercato con Usa e Canada, ndr) fino alla fine del 2012 (ultime cifre pubblicate) sono stati concesse 43.675 licenze minerarie che rappresentano una superficie di 95 milioni e 765.800 ettari, il che significa la metà del Paese».

Martínez ammette su Millennium: «Sappiamo che alcune concessioni hanno già utilizzato la terra per realizzare fabbriche, altri sono su questa strada, ma quel che è certo è che in ogni sito che è stato concesso ci sono stati episodi di disagio sociale. Il Paese ha registrato fino allo scorso anno 857 progetti minerari e di estrazione di minerali in 16 Stati, dove primeggiano con 206 Sonora, Chihuahua 120, Durango 97, Sinaloa 85 e Zacatecas 66. Il principale problema è che queste imprese non vedono i popoli indigeni come partner, li vedono come un disturbo e dall’altro lato attuano uno sfruttamento irrazionale delle risorse naturali, con metodi che danneggiano l’ecosistema. Ci sono anche denunce di pagamenti di tasse sulle rendite fondiarie miserabili, il che è considerato un eccesso ed un abuso».

Dopo anni di violenze e abusi ora il governo messicano dice che i popoli indigeni devono essere rispettati e diventare soci nei progetti gestiti dalle imprese straniere e Martínez è convinto che si possa trovare un compromesso per produrre sostenibilità, cura dell’ambiente e realizzare opere ed infrastrutture, come strade ed autostrade per i popoli coinvolti.

A parte la contraddittorietà di mettere insieme difesa dell’ambiente e miniere ed autostrade… come non concordare con Martínez quando dice che «E’ necessario ridare dignità ai popoli indigeni perché abbiano benefici dall’estrazione dei minerali che viene fatta nel loro territorio , perché nella maggioranza dei casi le miniere saccheggiano solo la ricchezza naturale e dividono i nostri pueblos. Bisogna costruire un Paese dove tutti ci guadagnano. Non possiamo avere un Paese che calpesta o ferisce i diritti dei popoli indigeni».

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