Laure Chadraoui lavora per la comunicazione del WFP, coprendo la crisi siriana.
 Per lungo tempo, si è occupata di seguire la risposta umanitaria in 
Siria, dove il WFP ha assistito più di 4 milioni di sfollati. Il WFP 
fornisce anche assistenza alimentare a circa 1,5 milioni di rifugiati 
nei paesi vicini. Questa è la sua storia.
 
 
          Superando le avversità
Laure parla 
del proprio lavoro, ma rifiuta di essere definita un eroe umanitario, 
definizione che invece le sembra più appropriata per molti altri 
colleghi che lavorano nella regione. “Non esiste una giornata tipo” 
spiega Laure. “Andiamo spesso in missione nei campi in Libano e in Siria
 per parlare con i rifugiati e ascoltare le loro storie.
Lavoriamo
 sotto costante adrenalina e affrontando situazioni sempre diverse. Per 
arrivare al campo, ci svegliamo alle quattro del mattino così da poter 
essere alla distribuzione del pane per le sei. A quell’ora, dobbiamo 
essere già lucidi e pronti per rispondere alle domande dei giornalisti. 
Restiamo tutto il giorno con le famiglie rifugiate, cercando di 
risolvere i loro problemi, spesso senza connessione internet. Siamo 
talmente dediti al lavoro che ci sentiamo in colpa quando ci riposiamo. 
Giostrarsi tra le priorità diventa uno stile di vita. Diventiamo dei 
maestri a capire le priorità, tra affiggere un manifesto per la 
visibilità, aiutare un rifugiato con un problema urgente o rispondere ad
 una domanda spinosa di un giornalista al telefono.

Copyright: WFP/Dina El-Kassaby
Persone reali, storie reali
A
 volte è davvero troppo e non riusciamo a non piangere. Ci sembra di 
essere egoisti, perché queste persone stanno vivendo una situazione 
molto più difficile di quello che dobbiamo affrontare noi.  A volte 
traduco le storie per i giornalisti in lacrime. Mi ricordo una volta che
 avevamo fatto visita ad una famiglia in cui il padre era rimasto 
completamente in silenzio, cosa piuttosto strana. Sua moglie ci spiegò 
che era preoccupata per l’istruzione dei figli e per altri problemi, 
l’uomo sedeva in silenzio in un angolo. Improvvisamente, ho visto le 
lacrime scorrergli sul viso mentre ascoltava la moglie.
Ma viviamo
 anche momenti felici quando stringiamo amicizia con le famiglie, che ci
 offrono tutto quello che hanno, anche il cibo che il WFP ha appena 
distribuito e che ovviamente non potremmo mai accettare.
Più che 
altro, ascoltiamo. Queste persone hanno affrontato un terribile trauma e
 spesso hanno bisogno di sfogarsi con qualcuno nella propria lingua. 
Cercano qualcuno che li ascolti, che provi compassione ed empatia, che 
dia loro speranza. Queste persone sono estremamente resilienti. Riescono
 ancora a ridere, a sposarsi e fare figli, perfino in luoghi dove sembra
 non esserci speranza. Eppure la speranza c’è sempre. Per esempio, un 
campo di rifugiati siriani, nel tempo, si è trasformato in una città 
perfettamente funzionante, con negozi, una via principale e zone 
periferiche dove le persone hanno ricreato la loro vecchia vita e 
ripreso il loro lavoro di un tempo.
Non potremmo mai dire: “Non tocca a me”
“Coinvolgiamo
 le persone a cui diamo cibo il più possibile. Una volta, in un campo in
 Giordania, abbiamo ricevuto delle lamentele sul pane che distribuivamo 
perché era diverso da quello a cui erano abituati in Siria. Così abbiamo
 portato un rifugiato che in Siria faceva il fornaio, al forno del 
campo, in modo che spiegasse come cuocere il pane alla maniera siriana”.
Continua
 Laure: “Quando siamo sul campo, il nostro lavoro è fare foto o stare 
con i giornalisti ma, dal punto di vista dei rifugiati, in quanto 
personale delle Nazioni Unite dobbiamo aiutarli a risolvere i problemi, 
di qualsiasi natura essi siano. Non potremmo mai dire “Questo non tocca a
 me”. Una delle sfide per chi si occupa di comunicazione è che il nostro
 numero di telefono è sul sito a disposizione dei giornalisti, ma 
ovviamente è pubblico quindi ci chiamano anche i rifugiati chiedendoci 
informazioni su, per esempio, i loro buoni pasto o su problemi che hanno
 nel campo. Ho anche ricevuto messaggi da persone in Siria che mi 
pregavano di aiutarli o che mi dicevano di aver finito il cibo in posti 
come Homs, e noi non potevamo aiutarli. Non sono situazioni facili.

Copyright: WFP/Abeer Etefa 
I veri eroi del WFP 
“E’
 lo staff nazionale in Siria ad essere il vero eroe del WFP. Questa 
crisi sta accadendo nel loro paese, sono loro stessi sfollati e spesso 
preoccupati per i propri familiari e amici, ma ogni giorno tornano al 
lavoro per aiutare gli altri. Ho visto colleghi rispondere al telefono 
per sentirsi dire che la propria città, dove ancora vivevano familiari e
 amici, veniva bombardata, e sono comunque andati avanti. 
Uno dei 
nostri colleghi aveva perso tutto, era uno sfollato e si era trasferito 
in un piccolo appartamento, ma ha comunque insistito nell’ospitarci, 
preparare il pranzo per tutti noi e condividere tutto quello che aveva.
Questa
 foto di una mamma che imbocca la propria bambina è stata scattata 
l’anno scorso a Damasco, nei pressi del nostro centro di distribuzione 
alimentare. Ci vivevano persone che avevano cambiato rifugio 6 o 7 
volte, prima di arrivare lì. Poche settimane dopo aver scattato quella 
foto, il campo è stato completamente distrutto. Il nostro lavoro è anche
 fare foto e raccontare queste storie così che la gente capisca cosa sta
 succedendo. Non è sempre facile fare una foto, dato che la gente ci si 
affolla intorno quando vede una macchina fotografica. Così, mentre io 
distraevo un gruppo di persone all’esterno, Abeer poteva entrare nel 
centro distribuzione e fotografare, con relativa calma, questa donna e 
la sua bambina. Abeer ha scattato questa bella foto della bambina mentre
 mangiava pasta al pomodoro, appena distribuita dal WFP. Ci consola il 
fatto che siamo più di una squadra, siamo una famiglia.
Impariamo 
tanto perché, se c’è qualcosa da fare, diamo tutti una mano. Ho imparato
 tanti aspetti della programmazione delle operazioni, anche se lavoro 
nella comunicazione. E’ difficile spiegare quanto sia gratificante 
quando una bambina in un campo ti corre incontro e ti abbraccia. E’ 
questo quello che facciamo tutti: diamo la possibilità a una bambina 
rifugiata di mangiare pasta al pomodoro. E questo grazie al WFP.
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