Dopo migliaia di ricerche condotte in tutto il mondo e finanziate complessivamente con 250 milioni di dollari «non c'è finora alcuna evidenza di rischi legati all'emissione di onde elettromagnetiche da telefoni cellulari e antenne». Lo hanno affermato oggi a Roma gli esperti riuniti nel convegno su campi elettromagnetici e salute organizzato dal consorzio Elettra 2000.
«Ci vorranno ancora anni di ricerche prima di avere dati certi» ha detto l'epidemiologo Anders Ahlbom, dell'Istituto Karolinska di Stoccolma, ma sulla base dei risultati finora disponibili «non c'è in generale alcuna evidenza di rischio» ha aggiunto Paolo Vecchia, dell'Istituto superiore di sanità.

L'introduzione relativamente recente dei telefonini e la loro rapida evoluzione tecnologica ha finora impedito di avere risultati a lungo termine. «Basti pensare - ha osservato Vecchia - che sono attesi a breve i risultati degli studi condotti sui telefoni Gsm, che stanno scomparendo». Tra gli studi epidemiologici più importanti sugli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute, c'é quello avviato in Danimarca subito dopo l'introduzione dei telefoni cellulari e basato sull'analisi parallela delle condizioni di salute degli utenti dei telefonini e del Registro nazionale sui tumori. «A cinque anni dall'avvio dello studio - ha detto Vecchia - non è emersa alcuna correlazione fra campi elettromagnetici e tumori».

Un risultato che è stato confermato dalla seconda fase dello studio, durata altri cinque anni e conclusa nella primavera scorsa. Altri studi epidemiologici, ha osservato il presidente emerito della Commissione internazionale per le radiazioni non ionizzanti (Cnirp), Michael Repacholi, «non ci sono attualmente studi epidemiologici che permettano di stabilire una correlazione fra esposizione ai campi elettromagnetici e aumento di casi di leucemie».

Resta comunque aperto, per mancanza di dati sufficienti, il problema degli effetti dei campi magnetici sulla salute su periodi di oltre dieci anni, ha osservato Bernard Veyret, del Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs). C'è invece minore incertezza per quanto riguarda le antenne, ha osservato Guglielmo D'Inzeo, dell'università di Roma La Sapienza, perché in questo caso le emissioni «sono milioni di volte meno intensi rispetto a quelle dei campi naturalmente espressi dalla natura, ad esempio quelli di cuore e cervello».

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