Vi è mai capitato di dover assumere un fundraiser? Oppure di doverne anche solo discutere? Vi è mai capitato di aprire una partita IVA in regime dei minimi o in regime ordinario, voler fare attività di fundraising e non trovare un codice ATECO adeguato? Queste difficoltà, che non riguardano solo chi opera nel fundraising, ma in generale tutte quelle attività o professioni che non trovano riscontro nei "normali" Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL), determinano di fatto una questione di cui si dibatte poco: quanto vale l’attività di un o una fundraiser e di conseguenza, quanto possa/debba essere il suo compenso? Non sto ragionando sull'ipotesi di pagarlo o meno, questo è un tema dibattuto e mi auguro superato (anche se spesso la realtà non è così), ma di quanto pagarlo.  

A quali Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro fare riferimento?

A mia conoscenza vi è solo un CCNL che nel nostro Paese prevede la figura del fundraiser e la determina come una figura interna: il CCNL delle Organizzazioni non governative (scaduto il 31.12.2016). Per tutte le altre situazioni, di fatto, si fa riferimento al CCNL in vigore nell’organizzazione dove il fundraiser opera. I più diffusi sembrano essere: Ve ne sono anche altri, ma nella mia esperienza ho incontrato soprattutto queste fattispecie. Ognuno di questi contratti, comunque, prevede diversi livelli di inquadramento e di conseguenza, altrettanti livelli retributivi. Quindi, volendo spostare l’attenzione dal riconoscimento "formale" dell’attività di fundraiser a quello retributivo, si devono cercare livelli e mansioni alle quali assoggettare per similitudine le attività di sollecitazione delle donazioni e dei sostenitori. È su questo punto che vorrei attirare l’attenzione del lettore, perché la realtà presenta una quantità di situazione che, come sempre, superano la fantasia.  

4 fasce di contribuzione di riferimento

Cercando di tracciare uno scenario, anche se con modalità assolutamente primitive, potremmo ipotizzare che vi siano 4 fasce di riferimento:
  • coloro che percepiscono meno di 1.000 € al mese*
  • coloro che percepiscono tra i 1.000 e i 1.800 € al mese*
  • quelli che stanno tra i 1.800 e i 3.000 € al mese*
  • i "fuori quota"
* le somme si riferiscono a "netto in busta paga", so bene che il costo aziendale è maggiore, ma quello non è un problema dei fundraiser… Trattandosi di una professione relativamente giovane, e come tutte soggette alla Legge di Pareto, le prime due fasce sono quelle più diffuse e riguardano in buona sostanza la gran parte delle persone che si occupano di fundraising. La prima fascia vede tra le proprie file soprattutto i tirocinanti, i cosiddetti "junior" e i part time, gente che però, a discapito del compenso previsto dal proprio livello contrattuale, devono mantenere alta la motivazione e altrettanto alta la "produzione". Per questi vale la pena di spendere qualche parola. Al di là di tutte le considerazioni che si possono fare, vi è un livello retributivo sotto il quale una persona non è in grado di vivere del proprio lavoro e questo fa perdere al settore risorse importanti. In soldoni: se un livello retributivo prevede per un tempo pieno 1.300 €, per 20 ore settimana ne prevede ragionevolmente circa 600/700 €. Il secondo livello riguarda lavoratori full time. Guardando però all'interno, ci si rende conto di quale sia il livello di aspettativa che l’organizzazione ha nei loro confronti, quante ore lavorino al mese e quali sino gli obiettivi che sono loro affidati. La terza fascia è generalmente composto da fundraiser di esperienza che hanno anche mansioni e responsabilità dirigenziali, che coordinano gruppi di lavoro e rispondono di gestione di budget significativi. Nell'ultima rientrano soprattutto i direttori di uffici fundraising di organizzazioni complesse.  

Compenso vs. valore generato

Concentriamoci sulle prime due fasce che rappresentano la situazione della maggior parte dei fundraiser. Queste persone, a cui solitamente è affidata la sostenibilità delle organizzazioni (che già di per sé sarebbe impegnativo), sono pure caricate della responsabilità di trovare le risorse per soddisfare i bisogni dei beneficiari e i desideri dei donatori e, sempre più spesso, anche di alcune funzioni prima svolte dalla pubblica amministrazione. Sono tra i pochi lavoratori ai quali viene chiesto di produrre cinque, sei, sette volte l’investimento che l’organizzazione fa su di essi. "Costano" 10 e devono "rendere" almeno 50 o 100, a volte anche 1.000. Tutto questo spesso senza strumenti o budget di comunicazione adeguati (mi riferisco soprattutto alle piccole e medie organizzazioni non profit che arrivano copiose al mondo del fundraising negli ultimi anni). Che cosa c’è alla base di una simile situazione? Perché a parole tutti riconoscono l’importanza strategica che il fundraising sta via via assumendo nelle organizzazioni non profit e la necessità di avere risorse umane ed economiche, ma poi tutto si riduce a una contrita frase “il contratto prevede questo…” Ci sono molti strumenti (ad esempio livelli diversi, superminimi, premi di produzione, bonus di performance ecc.) che permettono una certa mobilità rispetto alle somme previste dai livelli contrattuali, ma soprattutto bisogna volerlo! Questo avviene solo se a quella mansione, a quel lavoro, viene associato un "valore".  
Quanto vale il fundraising per una organizzazione e di conseguenza quanto vale la pena investire in esso?
Questa è la domanda che il dirigente di un ente del Terzo Settore si deve porre e in base alla risposta decidere se investire, e in quale misura. Perché il fundraising è bello, è utile, ma non è obbligatorio, però se si decide di attuarlo, bisogna mettere tutti coloro che ci lavorano nelle condizioni migliori per poterlo fare.   E tu che leggi questo post, di che contratto sei?

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