Diciamo che i temi di attualità di queste ultime settimane, fra i tanti, posso dire i più dibattuti dal mio "social-osservatorio" nazionale ed internazionale sono questi: le accuse al lavoro delle ONG che si impegnano e intervengono sul tema dei migranti e il muro di Trump, muro contro tutti e tutto, dal confine con il Messico al dialogo con i media. Il panorama è triste, si, però le persone non restano indifferenti ne discutono, ne parlano, e si arrabbiano… ma come si diffonde tutto ciò nelle nostre vite quotidiane? Sarà che ho studiato Scienze Politiche e questo tema m’interessa: come si passa dalle parole alle azioni? Ognuno sa di casa propria, d’accordo, ognuno sceglie di intraprendere piccole battaglie, avvicinarsi e impegnarsi in organizzazioni che si occupano di questo, c’è chi s’impegna per lavoro, c’è chi già discutendo pensa di aver dato ecc. Ma approfondiamo uno di questi aspetti. Le organizzazioni dovrebbero essere la forma più alta, istituzionalizzata e preposta per coinvolgere le persone all’azione invitando le persone ad attivarsi. Quindi mi chiedo come le organizzazioni incanalano potenziali energie dei singoli con l’obiettivo di un cambiamento possibile e di sensibilizzazione su certi temi? Tolte le grandi organizzazioni delle 330 mila organizzazioni non profit in Italia, l’80% sono piccole e medie, e quando ne incontro alcune di queste chiedo loro: «se io fossi un volontario cosa mi proporreste di fare? In cosa potrei impegnarmi?». La risposta mediamente, non sempre, è: «molte cose, dipende, da cosa vuoi fare». D’accordo mettere la motivazione al centro del donatore, e capire cosa si aspetta chi abbiamo di fronte ma passando all’azione: quali sono le vostre priorità e le persone che cercate di più per realizzare il vostro perché, il vostro cambiamento nel mondo? Proviamo, come organizzazioni, a dare delle indicazioni più chiare e fare delle proposte più precise. Così anche le persone inizieranno a conoscerci per quello che siamo e saranno loro a orientarsi tra un’organizzazione piuttosto che un’altra con logica anche di appartenenza, con uno sguardo forse più lungo. Quindi i passaggi potrebbero essere:
  1. quale cambiamento vogliamo portare nel mondo
  2. chiedere esplicitamente agli altri di aiutarci
  3. facendo delle proposte di attivazione concrete che rispecchino le nostre priorità
A supporto di questo vi riporto degli altri dati sul volontariato in Italia presi da recente libro Volontari e attività volontarie in Italia curato da Riccardo Guidi, Ksenja Fonovic e Tania Cappadozzi ed edito da Il Mulino:
  • 6.063.000 persone prestano attività gratuite senza alcun obbligo almeno una volta al mese;
  • 126 milioni le ore di lavoro prodotte in 4 settimane;
  • il 50% dei volontari svolgono servizi individualmente, ovvero al di fuori di un’organizzazione di qualche tipo.
Se questo è il panorama anche il nostro modo di chiedere partecipazione dovrà adattarsi e tenere conto di queste nuove forme. Si parla di volontariati, per definire le nuove modalità di fare volontariato, che hanno le seguenti caratteristiche:
  • maggiore attenzione al bisogno sociale a cui si risponde;
  • ricerca di attivazione per progetti;
  • saltuario e in più organizzazioni;
  • orientamento individuale.
Si potrebbero considerare anche nuove forme di agevolazione alla partecipazione al volontariato. Senza pensare subito a "ma tanto non rimangono", "vengono una volta, un mese al massimo, e poi?" oppure chiedersi “Ma quanto credono nella nostra mission e nei nostri valori?”. In buona fede questo sentire rappresenta un pericolo che limita le possibilità di azione. Quante volte nella vostra vita avete fatto scelte così importanti e profonde come scegliere di certi valori senza pensarci o provare più volte? Perché in questo caso si dovrebbe chiedere all’altra persona la prima volta che ci incontra di sposarci direttamente senza prima conoscersi un po’?  

Alcuni esempi di un nuovo modo di vedere il volontariato

La piattaforma tedesca vostel.de offre la possibilità di scegliere tra diversi progetti con proposte concrete e specifiche, sia in termini d’intervento che di tempo richiesto.   [caption id="attachment_2351" align="alignnone" width="700"] Vogliamo rendere il volontariato semplice e divertente per tutti coloro che vogliono coinvolgersi in progetti sociali, culturale, e ambientali – non importa che lingua parli, quanto tempo hai da donare e quali capacità porti[/caption] Lo fa in modo fresco e "spezzettato" secondo precise esigenze delle organizzazioni. Con l’obiettivo di catalizzare proprio quelle persone lì che possano essere interessate per ambito e per sentimento, ma anche con precise caratteristiche in termini di abilità e disponibilità di tempo. Un altro esempio che abbraccia un pensiero nuovo e quindi delle modalità nuove è ben rappresentato anche da dosomething.org dove le persone sono invitate attraverso piccole azioni (foto e coinvolgimento peer to peer) a partecipare su temi sociali e pubblici e coinvolgere altre persone vicine a loro. Sono più di 5 milioni le persone che hanno aderito a questa piattaforma in più di 131 paesi. Come in questa campagna "Pride over prejudice" dove le persone sono invitate a postare un loro selfie per essere vicino ai migranti e ai rifugiati in segno di solidarietà.   Questi sono esempi "che chiamano all’azione", che passano dall’online e credo che sia significativo riportarli proprio per questo, perché vanno incontro a nuovi target e nuovi strumenti su cui forse siamo ancora un po’ indietro, ma chiaramente dietro ci sono organizzazioni che lavorano parecchio offline che hanno davvero grandi volumi di valore sociale e che grazie alle loro persone possono incidere sulla realtà. Sono esempi che fanno riflettere su cosa le persone cercano e possono diventare suggerimenti per migliorare la nostra attenzione ai donatori di tempo. Tutte logiche che provano a conciliare questo nuovo modo, che è diverso, che spaventa perché più liquido e volatile ma non per questo necessariamente peggiore. Si potrebbe pensare di ragionare di più dalla forma di volontariato tradizionale ad una forma più di "movimento"? E se la barriera più grande fossimo noi stessi e il nostro sentimento anche inconscio di concepire i nuovi modi di fare volontariato? Siamo cresciuti in un altro modo facendo altre esperienze quindi il nuovo ci sta stretto. Lo si guarda con un po’ di dubbio, perplessità, non gli si va incontro con gran entusiasmo e si sta alla finestra per vedere se funzionerà o meno. E intanto il tempo passa... Non ci potrebbe essere la possibilità di maturare una nuova consapevolezza che porti a nuovi strumenti di partecipazione?

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