Sul confine tra il ruolo del Consiglio d’Amministrazione (CdA) o Consiglio Direttivo (CD) e quello del Direttore (o Coordinatore) è da anni che si discute e, ormai, i relativi compiti dovrebbero essere sufficientemente chiari:
  • al Consiglio spetterebbero infatti le decisioni in merito alla strategia e allo sviluppo aziendale (ruolo politico/strategico)
  • la Direzione si dovrebbe occupare della gestione e della realizzazione delle strategie (ruolo tecnico).
Il condizionale è d’obbligo, in quanto sappiamo benissimo che sulla carta le cose sembrano semplici ma, in realtà, sono decisamente più complicate. Come prima riflessione dobbiamo dire che si tratta di uno schema generico e generale che non tiene conto di una serie di processi, come ad esempio avviene per il monitoraggio/controllo, che potrebbe essere ripartito tra più organi e ruoli aziendali a seconda dell’oggetto e della natura dell’azione di controllo. In secondo luogo lo schema ipotizzato, come ogni altro modello organizzativo, deve di fatto essere "reso operativo" da persone che, come è noto, possono avere competenze, disponibilità di tempo, visioni e interessi molto diversi e, quindi, ridefinire e interpretare i ruoli in maniera personale. Inoltre nel mondo attuale, "postmoderno" e  "liquido", la dimensione "politico/strategica" e quella "tecnica" spesso si confondono in quanto si  moltiplicano le situazioni in cui viene richiesta la velocità nel prendere decisioni e nelle quali il Direttore, inevitabilmente, si trasforma da "puro" tecnico a "strategico-tecnico". Allo stesso tempo, per ragioni di contesto, nelle organizzazioni cresce il bisogno di monitorare in itinere l’implementazione delle strategie con la conseguenza che al CdA non rimangono i soli compiti strategico-politici, ma è costretto a "sporcarsi le mani" con compiti anche più "tecnici". A questo proposito, non è un caso che sia aumentata, ad esempio, la domanda di formazione espressa dai Consigli di Amministrazione sulle tecniche di monitoraggio e di valutazione. Si è creata dunque, inevitabilmente, una zona grigia dove entrambi i ruoli possono e devono operare. Si pensi, ad esempio, alle situazioni in cui il Direttore (o addirittura un suo delegato) partecipi ad un tavolo territoriale composto da più attori e dove, a volte anche senza rendersi conto, si prendono decisioni che possono vincolare le organizzazioni rappresentate. Inutile dire che, con la diffusione del modello di governance nelle politiche pubbliche e con il proliferare del lavoro di rete, le organizzazioni si trovano molto spesso a partecipare a processi di co-progettazione e di co-decisione. Il ruolo di chi partecipa a questi processi è, ovviamente, sia strategico che tecnico e lo stesso vale anche per le competenze richieste. Quindi, pur nella consapevolezza dei limiti del tradizionale schema che distingue tra politico e tecnico, possiamo comunque continuare a utilizzarlo  facendo attenzione di volta in volta ad adattarlo alle, e a declinarlo nelle, condizioni particolari  dello specifico contesto. Nel precedente post abbiamo parlato della sfera direzionale, fornendo uno schema su come redistribuire i compiti tra le diverse figure che ne fanno parte attraverso le leve della delega e del coinvolgimento. Ora proviamo a esaminare ulteriori ipotesi di lavoro, aprendo la “black box” della Direzione.  

Quali sono i compiti e il ruolo del CdA?

Nella letteratura ad esempio troviamo i seguenti modelli di Consiglio (si veda il volume dedicato alla "Corporate governance" dell'enciclopedia di Management, nell’edizione frutto della collaborazione tra Il Sole 24ore, Università Bocconi e La Repubblica):
  • Pilota: assume direttamente il management dell’azienda attraverso il Presidente o un consigliere che, in quest’ultimo caso, assume il ruolo dell’amministratore delegato;
  • Implementatore:garantisce, con un coinvolgimento diretto, le condizioni affinché la Direzione possa svolgere il suo compito e realizzare le strategie aziendali;
  • Supervisore: partecipa meno alla vita organizzativa, ma supervisiona e monitora con strumenti mirati l’operato della direzione sulla base di obiettivi e di programmi ben definiti.
È evidente che, nel quotidiano, l’operato di ogni CdA è caratterizzato da un mix specifico di questi modelli "puri", nonostante comunque uno di essi tenda a prevalere e a connotare complessivamente lo stile di governance dell’organizzazione. Inoltre, è da considerare l’ipotesi che nel tempo, a seconda dello stadio di "maturazione" di un’organizzazione, il ruolo del CdA può modificarsi in relazione anche allo sviluppo delle competenze di altre figure, come ad esempio di chi copre il ruolo del Direttore. In definitiva, le principali funzioni chiamate in causa sono le seguenti:
  • elaborazione e definizione delle strategie nei diversi settori/processi della vita aziendale;
  • verifica e valutazione dell’operato della struttura organizzativa;
  • gestione dei rapporti con l’ambiente e gli stakeholder;
  • implementazione e realizzazione delle singole strategie aziendali/settoriali.
La questione quindi diventa quella di ripartire tali funzioni tra il CdA e la Direzione, evitando di seguire principi astratti, adottando piuttosto una logica contestuale e leggendo le specifiche condizioni di ogni azienda. Una cosa è certa: che le funzioni elencate qualcuno le deve svolgere! L’attribuzione dei compiti può seguire due possibili approcci:
  1. concepire i rapporti tra CdA e Direzione in una logica di trade off, come se fosse una specie di gioco a somma zero, dove quello che viene attribuito a un ruolo viene sottratto da un altro;
  2. promuovere il gioco di squadra e costruire una sfera direzionale dove le varie funzioni, pur essendo attribuite a singole persone e figure, vengono comunque svolte in una logica collaborativa.
Per evitare fraintendimenti a proposito di collaborazione va detto che esistono diversi modi di concepirla. Spesso viene intesa o come un "semplice" scambio di informazioni (che porta i "tecnici" dell’organizzazione a considerarla alla stregua di una delle tante forme di coordinamento), o come una specie di gestione collettiva, dove è difficile distinguere chi fa che cosa e a chi spettano specifiche responsabilità. Esiste però anche una versione, forse più moderna, che vede la collaborazione come una modalità di pensare e di svolgere i propri compiti realizzata attraversi la ricerca e l’accettazione del contributo di altri. In questo modo tutti i processi direzionali vengono svolti con il coinvolgimento di vari soggetti che aiutano ad arricchire i punti di vista, generando e condividendo nuovo know how. In linea con il paradigma della condivisione di risorse e del fare insieme (dello sharing e del co-lavorare, co-progettare e co-decidere) la sfera direzionale diventa uno spazio organizzativo dove certamente le funzioni strategiche possono essere attribuite a varie figure, ma dove allo stesso tempo è promossa (per non dire richiesta) la collaborazione finalizzata a generare nuovo sapere organizzativo e ad attivare l’apprendimento e la crescita professionale di tutti i ruoli interessati. Seguendo l’esempio di prima, il Direttore che partecipa alle riunioni con altri attori del territorio potrà svolgere meglio (e legittimamente) il suo ruolo in un processo di co-progettazione, in quanto le sue competenze tecniche saranno arricchite e integrate da quelle “politico-strategiche”. Al posto della metafora della catena (umana) utilizzata spesso per evidenziare la forza della squadra personalmente preferisco quella della corda. Che succede se si spezza un anello della catena? Forse resiste meglio la corda ? La collaborazione come modello di organizzazione del lavoro della sfera direzionale ci porterà inoltre a scoprire e/o rivalutare il potere di una mission ben definita e condivisa o, viceversa, ci aiuterà a renderci conto del vantaggio che offre così come della necessità di lavorarci su. A proposito di mission, consiglio una (ri)lettura del capolavoro Moby Dick di Herman Melville (in alternativa la splendida versione cinematografica di John Huston con Gregory Peck del 1956) dove nei frequenti dialoghi (conflitti o negoziazioni?) tra il capitano Achab e il primo ufficiale Starbuck possiamo riscontrare tanti aspetti qui trattati e tentare una propria lettura, non dimenticando il ruolo degli armatori (tra l’altro in forma collettiva) che rimangono sullo sfondo delle vicende. Sono consapevole che, con questo suggerimento potrò essere accusato di banalizzare il messaggio letterario e filosofico dell’opera di Melville, ma  accetto di correre questo rischio.  

Nota

Direttore o Coordinatore? Spesso nel mondo del non profit si rifiuta il ruolo del "Direttore" perché si preferisce quello del "Coordinatore" che suona meno aziendalistico e più  consono alla cultura solidaristica, dimenticando però che si può fare il Direttore coinvolgendo e promuovendo la partecipazione  così come il coordinatore in maniera autoritaria. Ma al di là di questi aspetti, che possiamo classificare ormai come folkloristici, la vera questione riguarda come i due ruoli  possano assumere diversi livelli di responsabilità e traccino differenti rapporti e confini con il CdA. In  base anche al modello di Consiglio adottato tra quelli poc’anzi presentati, il Direttore assume la responsabilità di condurre l’organizzazione verso le mete stabilite dal CdA, compiendo delle scelte sia sul piano del sistema organizzativo sia su quello del sistema erogativo dell’offerta (sulla distinzione vedi qui). Mentre il coordinatore, di norma, dovrebbe appunto supervisionare e gestire lo svolgimento di azioni decise da CdA. Tali azioni di norma riguardano soltanto la sfera dei servizi (sistema erogativo dell’offerta), mentre quella della gestione organizzativa (es gestione personale) viene affidata a un consigliere con una delega specifica. Si potrebbe sostenere, in una logica chiaramente "idealtipica", che il ruolo del Direttore si coniuga bene con un CdA "implementatore" e "supervisore", mentre quello del Coordinatore con un CdA "pilota".

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