Il mondo digitale ha cambiato molti aspetti della nostra vita. Tra le varie cose anche l'attenzione e la consapevolezza della scelta delle parole che utilizziamo. Oggi le parole scorrono come un fiume in piena, tra correttori automatici, parole dettate ma non sempre comprese correttamente, emoticon e abbreviazioni comprensibili solo agli addetti ai lavori. E in questo scorrere non prestiamo più particolare attenzione alle parole che utilizziamo, tanto a nessuno interessa la forma, le parole corrette, la punteggiatura al posto giusto. L'importante è dire sempre qualcosa. Tutti ci dicono che il web è una brutta bestia perché su internet tutto rimane. Ma provate voi a cercare il post che avete letto 30 minuti fa o l'immagine che vi piaceva molto che avevate visto ieri. Se è vero che tutto rimane è anche vero che nel web tutto sparisce in un calderone da cui poi è difficile ritrovare ciò che si cerca. Per cui se anche una volta ci è scappato il termine "barboni" invece di "persona senza dimora" in un post di Facebook, chi vuoi che se ne accorga, tanto tra mezz'ora nessuno lo legge più. E così piano piano anche noi comunicatori sociali rischiamo di cadere in queste dinamiche, in cui è più importante l'esserci qui e ora con un contenuto d'effetto, emozionale che sia preferibilmente virale piuttosto che comunicare in modo etico e responsabile. Ma proprio perché il nostro lavoro è legato indissolubilmente a situazioni di fragilità, di difficoltà, il nostro livello di attenzione nella scelta delle parole che utilizziamo dovrebbe venire sempre al primo posto. Quindi nella cassetta degli attrezzi del comunicatore sociale, oltre agli evergreen (Treccani, l'Accademia della Crusca e le 40 regole per parlare bene l'italiano di Umberto Eco, solo per citarne alcuni), non possono non mancare questi tre progetti.

Parlare Civile

  "Non esistono parole sbagliate. Esiste un uso sbagliato delle parole". E proprio su questo motto che nasce nel 2013 il progetto Parlare Civile grazie al Redattore Sociale e all'Associazione Parsec. L'idea di base è fornire una guida per il corretto utilizzo delle parole legate a temi sensibili e a rischio discriminazione a tutte le persone che si occupano di comunicazione (giornalisti, divulgatori, comunicatori sociali ecc.). Il progetto prevede una doppia veste: sia digitale che cartacea. In tutto sono state sviluppate più di  200 schede di approfondimento legate a parole chiave con indicazioni etimologiche, analisi sull'uso corrente delle parole, dati riassuntivi, termini alternativi più efficaci e corretti, oltre ad esempi di corretto ed errato utilizzo nella comunicazione. Infine un'altro dei punti di forza del progetto è l'aver spaziato a 360 gradi tra i diversi temi, toccando:
  • disabilità
  • genere e orientamento sessuale
  • immigrazione
  • povertà ed emarginazione
  • prostituzione e tratta
  • religioni
  • Rom e Sinti
  • Salute mentale
  • HIV/AIDS
 

Carta di Roma

  In questi mesi il tema dei soccorsi in mare e dei migranti hanno occupato le prime pagine di molte edizioni dei quotidiani. Ma non solo. Hanno coinvolto molte organizzazioni impegnate da un lato a difendersi da accuse e insinuazioni e dall'altro a cercare di far comprendere a milioni di persone i dettagli e le implicazioni di un tema così delicato e sensibile. Il problema però non non nasce con gli scandali della scorsa estate, ma ha radici più profonde. Nel 2011 è nata l'Associazione Carta di Roma con lo scopo di dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CNOG) e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) ancora nel giugno del 2008. Tra i vari strumenti messi a disposizione dall'Associazione troviamo due risorse che possono tornare utili non solo ai giornalisti, ma anche ai comunicatori sociali:
  • il glossario: contenente la corretta definizione e utilizzo dei termini quali "richiedenti asilo", "protezione sussidiaria", "vittima della tratta" ecc.
  • le linee guida: una guida pratica, aggiornate nel 2015, articolata attorno ai quattro principi guida della Carta di Roma, dall'utilizzo corretto della terminologia (con focus anche su islamismo e etnie Rom e Sinti) alle regole per una corretta tutela dell'immagine e dell'identità di persone in difficolta, dalla correttezza e completezza  dei contenuti (con un focus sulle regole di comportamento in caso di hate speech) all'utilizzo di fonti utili e attendibili.
 

Manifesto della comunicazione non ostile

Le parole non sono potenti solo per il significato che hanno cucito addosso, ma la scelta delle parole nel loro complesso tracciano i contorni del nostro stile di comunicazione che non è altro che uno degli elementi rappresentativi della nostra identità. Ed è proprio con la comunicazione digitale che questa dimensione forse ci è in parte sfuggita di mano, sia come individui che come comunicatori sociali. Gli internauti oggi sembrano incarnare il famoso romanzo di Stevenson "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde": nella vita reale sono persone amabili e socievoli, poi nel web si trasformano in leoni da tastiera facendo emergere tutte le frustrazioni e la rabbia. E in questo processo si perde completamente di vista il reale senso e potere delle parole. Ed è proprio dalla consapevolezza del pericoloso declino che sta prendendo oggi la comunicazione nel web che nasce il progetto del Manifesto della comunicazione non ostile. Presentato il 17 e 18 febbraio 2017 a Trieste, il manifesto, che può essere liberamente scaricato dal sito e sottoscritto, è costituto da 10 principi di stile scritti a più mani attraverso il coinvolgimento della community dei comunicatori. L'obiettivo dichiarato e auspicato è di ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi che si propagano facilmente in Rete.   Se da un lato è vero che noi comunicatori sociali dovremmo essere in grado, anche se a volta con un po' di fatica, di tenere lontano il "signor Hyde" che c'è in noi e adottare uno stile e una scelta di parole sempre attenta e coerente con la voce dell'organizzazione e in grado di rappresentare in maniera corretta e rispettosa le situazioni, dall'altro non dobbiamo mai dimenticarci che, come recita il punto 5 del Manifesto «Le parole sono un ponte. Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri».  

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