Dopo qualche anno di attività come freelance nell’ambito della progettazione arriva il momento della riflessione sulla professione, sul ruolo ricoperto, su come proseguire e innovarsi continuamente. Ho iniziato a svolgere questa attività perché attratta dal processo che porta dall’ideazione alla presentazione del progetto. Dare struttura a delle idee tenendo in considerazione tutte le variabili che possono influire sulla sua efficacia e sulla sua sostenibilità, per definire una sequenza di attività che possano creare dei cambiamenti positivi nell’ambiente circostante. Nella mia mente scrivere un progetto era, fino ad allora, mettere su carta dei pensieri, descrivere delle attività nel modo più dettagliato possibile e non avrei mai pensato di esserne in grado, data la mia poca praticità con la narrazione e le parole.  

Questione di logica

È stato quando ho capito che progettare era un’attività più tecnica e logica che mi sono appassionata, perché più in linea con una mente matematica e scientifica. Ricordo la preparazione del primo, semplice progetto dove tutti gli elementi avevano trovato il loro posto, tutto era collegato da una logica interna e leggendolo si poteva chiaramente immaginare come si sarebbe svolto. Ancora più soddisfazione, ovviamente, è stato leggere quel “Approvato” di fianco al titolo del progetto. Da quel momento mi sono trovata a maneggiare strumenti quali l’analisi SWOT, l’albero dei problemi, il quadro logico, altri strumenti di analisi e, da un certo punto in poi, a doverli trasmettere ai partecipanti a corsi di formazione. Tanta era ed è la mia passione per la logica che spesso quello che racconto mi sembra scontato e ho dovuto trovare un modo di presentare la progettazione in modo comprensibile a chi si approcciava per la prima volta all’argomento e soprattutto a chi, ad un approccio scientifico, preferisce un approccio più “romantico”, probabilmente normale nel mondo del Terzo settore.  

Un modo semplice di spiegare la progettazione

Dopo vari tentativi mi sono resa conto di quanto la quotidianità mi potesse essere di aiuto: le metodologie progettuali sono molto simili alle azioni che ognuno di noi compie nella vita quotidiana. A partire dalle scelte e dalle azioni più semplici fino a progetti di vita complessi, la nostra mente segue il processo progettuale a partire dall’individuare la situazione che si vuole cambiare fino a definire l’obiettivo del cambiamento e le azioni necessarie per apportarlo. Un esempio semplice: pensiamo alla pulizia di una stanza. Innanzitutto realizziamo che la stanza è in disordine (problema) e che è necessario sistemarla (obiettivo). Lo possiamo fare iniziando a spostare le cose che sono in mezzo, pulendo prima a terra oppure partendo dai mobili, possiamo lavare per terra per poi rimuovere la polvere. Sono tutte azioni necessarie ma se fatte in ordine casuale il risultato non sarà di sicuro soddisfacente. La nostra mente, in maniera inconsapevole, analizza la situazione e individua le azioni necessarie dandogli un ordine di priorità finalizzato a raggiungere il miglior risultato possibile rispetto all’obiettivo individuato. Ecco, in maniera semplicistica, è la stessa procedura che si deve seguire per costruire un progetto di successo: analizzare la situazione per individuare i problemi a cui vogliamo rispondere e, da questi, fissare degli obiettivi realistici che tengano conto delle variabili che possono incidere su di essi; dopodiché si individuano le azioni necessarie al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, dandogli una sequenza logica e temporale che possa essere monitorata per verificare il corretto svolgimento del progetto. Questo, prima che le nozioni tecniche, cerco di trasmettere alle associazioni con cui entro in contatto nel mio lavoro. È proprio quando si intuisce che ogni progetto è una struttura che deve essere creata consapevolmente e non improvvisata e che deve rientrare in una strategia logica a medio-lungo termine che la strada verso una progettazione vincente si fa più facile.  

Il progettista: da scrittore a costruttore

Così la figura del progettista si trasforma da mero “scrittore” a costruttore di progetti, con il lavoro di analisi, coordinamento, comunicazione e scrittura che comporta: affiancandosi alle organizzazioni può trasformare le idee delle organizzazioni in progetti e, in seguito, in documenti da presentare per una richiesta di finanziamento. La preparazione di un progetto diventa, quindi, un processo che deve necessariamente coinvolgere l’organizzazione e che prevede quindi un impegno da parte di questa che, se viene a mancare, pregiudica la qualità del progetto che si vuole costruire, e quindi l’eventuale approvazione. Come per altre professionalità coinvolte nelle realtà del Terzo Settore, anche il progettista deve poter entrare in contatto e contare sulla collaborazione dell’organizzazione nella condivisione delle informazioni (in quanto maggiormente a conoscenza del contesto interno e esterno e della realtà in cui agiscono), conoscerne le dinamiche, le opportunità e i limiti esistenti e non può farlo se non con la partecipazione attiva del personale dell’ente.  

Il progetto: una responsabilità condivisa tra progettista e organizzazione

Si tratta quindi di una responsabilità e di un investimento condivisi tra il progettista e l’organizzazione cosi come il rischio che ogni realtà corre nel coinvolgere professionisti in altri tipi di attività (informatiche, comunicative, fiscali, ecc.). È solo riconoscendo questo, che il progettista svolge il proprio lavoro con il corretto approccio e le informazioni necessarie per garantire un maggiore successo alle organizzazioni con le quali entra in contatto.

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