L'istituto dell'impresa sociale, così come viene normata dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, si pone oggi come l'organismo meglio equipaggiato per tradurre in opere i principi contenuti nel Dettato costituzionale italiano (cfr. Costituzione della Repubblica italiana).

L'impresa sociale, anche alla luce delle acquisizioni normative frutto della Riforma del Terzo settore recentemente approvata e in via di attuazione, appare l'istituto produttivo più adeguato per organizzare in ambito economico la tutela, l'applicazione e lo sviluppo dei valori della Costituzione italiana al tempo del suo settantesimo anniversario; un anniversario che interessa il biennio 2017-2018 per comprendere e dunque ripercorrere il lavoro dell'Assemblea costituente, insediatasi a fine giugno 1946 per elaborare la Costituzione della Repubblica italiana, approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata poi in vigore a partire dal I gennaio 1948.

L'impresa sociale è un'organizzazione per il lavoro democratica, plurale e al servizio del bene comune. Essa fa del lavoro il mezzo attraverso il quale favorire la partecipazione imprenditoriale degli stakeholder coinvolti, garantire la loro rappresentanza democratica e quindi la composizione dei variegati interessi, infine fornire la cura competente e professionale del bene comune attraverso la gestione di beni e servizi a misura di persona.

La seguente analisi “dialogica” articolo per articolo tra Costituzione e impresa sociale vuole dare prova di questa contiguità nella mission civile e imprenditoriale dei due istituti normativi.   Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro [...]. In qualità d'impresa sociale questo modello d'impresa non può che fondarsi sul lavoro, inteso come suo capitale fondante e creativo in grado di assicurarne il vantaggio competitivo nella fornitura di beni e servizi alla persona, nella gestione, appunto, del bene comune.

Sul benessere dei suoi utenti così come su quello dei cittadini repubblicani incide fino a un certo punto la quantità di capitale materiale e finanziario impiegato, come ben dimostra il declino nell'attendibilità del PIL – Prodotto Interno Lordo, misura del successo economico, surclassato da strumenti conoscitivi ben più ambiziosi quali il BES – Benessere Economico Sostenibile, misura del benessere percepito nella società e frutto della sintesi tra dati economici e qualità delle relazioni, della vita civile.

Nella salvaguardia del lavoro e del suo contenuto di creatività e dunque di personalizzazione riposa la legittimità della politica economica nazionale e la capacità d'innovazione produttiva in capo all'impresa sociale.   Art. 3. [...] E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Il pluralismo organizzativo dell'impresa sociale multistakeholder normato all'art. 11 del suddetto decreto legislativo - al pari di quello partitico associazionistico nella società civile italiana - rappresenta il dispositivo di governo imprenditoriale più adatto nel garantire la più ampia rappresentanza degli interessi coinvolti, tra cui quelli di utenti, fornitori, oltreché favorire la concreta partecipazione dei lavoratori alla gestione responsabile dell'azienda.

Il disegno organizzativo in favore del protagonismo dei lavoratori all'interno dell'impresa sociale altro non è che la traduzione economica del diritto alla partecipazione politica riconosciuto dalla Repubblica a ogni suo cittadino.   Art. 41. L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana [...]. Nella norma (cfr. art. 2 del D. lgs. 3 luglio 2017 n. 112) ma soprattutto nella ragione d'essere dell'impresa sociale è inscritto il vincolo dell'utilità sociale, che è peraltro intrinseco nella sfida di cura del bene comune ma che viene rimarcato nella politica di gestione del profitto, limitato nelle soluzioni di redistribuzione e veicolato verso il suo reimpiego nello sviluppo imprenditoriale, affinché l'impresa sociale possa allargare sempre di più il bacino dei beneficiari e possa al contempo erodere le barriere all'ingresso in favore di altre persone portatrici di nuovi bisogni cui far fronte.   Art. 45. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. [...] La Riforma del Terzo settore recentemente approvata conferma quest'ultimo punto del dettato costituzionale riconoscendo di diritto alle cooperative sociali il titolo di impresa sociale (cfr. Art. 1, comma 4, del D. lgs. 3 luglio 2017 n. 112). In ambito economico è infatti il paradigma cooperativo quello in grado di dare ragione alle istanze democratiche che contraddistinguono l'impresa sociale.

La cooperazione è il principio fondamentale in grado di alimentare un'altra economia, alternativa a quella utilitaristica, e quello più funzionale a garantire una efficace cura del bene comune, la cui diffusa proprietà collettiva esprime tutto il suo potenziale aggregante e la rispettiva funzione pubblica soltanto attraverso la delega per una sua circoscritta e quindi cooperativa gestione efficientante. Non a caso il Dettato costituzionale indica i valori della cooperazione e non quelli della sharing economy come elementi in grado di diversificare e vivificare i rapporti economici all'interno di una cultura grevemente influenzata dall'economia capitalista di mercato.

Una forma di vita, quella capitalistica di mercato, che, dopo aver azionato la macchina bellica di distruzione di massa del primo Conflitto mondiale, foraggiato l'istituzione finanziaria della speculazione di massa nella Grande depressione e, infine, tollerato l'organizzazione su scala industriale dello sterminio di massa nel corso della Seconda guerra mondiale, aveva già trovato la propria diabolica consacrazione ai tempi dell'approvazione della Carta costituzionale nel dicembre 1947.

 

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