Un contributo di Alessandro Cola, AD di Explace.

“Ci rubano il lavoro!” Quante volte l’abbiamo sentito dire, nei bar, nelle piazze e nei comizi. Certo chi si ritrova in bocca questa frase di solito non si riferisce ai robot; del resto, non siamo mica in un film di fantascienza, non ancora almeno.

È comunque evidente che la nostra realtà si sta di giorno in giorno trasformando e a grande velocità, somigliando sempre più ad uno scenario di un romanzo fantascientifico: molte cose che solo 10 anni fa erano anche solo difficili da immaginare, oggi non solo sono realtà, ma si preparano ad essere inesorabilmente superate. 

Tra queste l’uso dell’automazione nei processi produttivi di serie. Non è di certo una novità, dopotutto ogni rivoluzione è stata spinta e guidata da una scoperta: la prima dall’invenzione della macchina a vapore, la seconda dall’impiego dell’elettricità, fino ad arrivare alla rivoluzione tecnologica e a quella ancora in atto, che viene identificata come la quarta rivoluzione industriale.

È naturale che le innovazioni vengano di volta in volta ad inserirsi nel mondo del lavoro, contaminandolo, cambiandolo, a volte anche stravolgendolo: probabilmente, anzi sicuramente, è da qui che nasce il timore che molti hanno di venire sostituiti da una macchina, un giorno chissà quanto vicino. 

Da un punto di vista logico la paura sembra essere fondata: da che mondo è mondo quello che dà valore ad un oggetto sono il tempo e le energie impiegate per ottenerlo. Con l’impiego di un robot, basta sedersi e programmare un’azione perché venga eseguita: questo fa sì che si dimezzino sia i tempi di produzione che la vera e propria forza lavoro, determinando anche un considerevole abbassamento del prezzo, che permette quindi a quel determinato oggetto di essere più competitivo nel mercato.

È una cosa che abbiamo già visto succedere, sebbene, guardando un po’ indietro, possiamo certamente dire che ogni rivoluzione ha portato con sé un’evoluzione e in generale un miglioramento delle condizioni di vita: di fatto, nonostante un primo periodo che potremmo chiamare di smarrimento o di aggiustamento - mi riferisco ad esempio alle rivolte dei lavoratori scoppiate a seguito dell’impiego dei macchinari nel processo produttivo - si è sempre trovato un modo per poter andare avanti più o meno serenamente e in condizioni “umane”.

La previsione di perdita di 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020 a causa della tecnologia è certamente impressionante, tuttavia sono da considerare anche tutte quelle attività in cui, grazie ad essa, si ottengono oggi grandi risultati: da quest'ultima riflessione nasce la convinzione che il potere che ha la tecnologia potrebbe essere sfruttato dalle persone per ottenere maggiori opportunità, anche in termini lavorativi, nel futuro. Come? Ad esempio imparando a servirsene in modo ottimale.

Perché questo accada è necessario che venga ridisegnato l’intero sistema di formazione, in funzione di una conoscenza più completa della tecnologia.

Un possibile scenario, opposto al precedente, potrebbe comprendere invece un aumento dei posti di lavoro qualificati, generando di conseguenza anche un aumento di impieghi in cui, d’altro canto, non è necessaria una qualifica: un lavoratore umano, grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici, potrebbe non aver più bisogno di competenze specifiche e di settore perché ci sarà una macchina a fare il lavoro al posto suo. Di rimando, dunque, l’assunzione di un lavoratore meno qualificato avrebbe comunque un costo più sostenibile dell’acquisto di un macchinario talmente tecnologico da poterlo sostituire completamente. 

Ma queste sono solo due delle tante ipotesi che è possibile formulare. Rimane il fatto che per poter elaborare un nuovo modello economico bisogna partire dal porsi le giuste domande: cosa dà valore ad una merce? Cosa dà valore al lavoro umano? Il precedente modello è già completamente superato, o va semplicemente integrato?

A prescindere da tutte le variabili che possono entrare in gioco nell’affrontare una questione così complicata da definire, almeno per il momento, c’è un punto che deve rimanere saldo, e cioè che il vero motore di qualsiasi cambiamento è comunque la persona, ed è la persona a costruire e adattare gli strumenti a propria immagine e a seconda delle proprie necessità. Tutto ciò potrà magari apparire un po’ scontato, ma di sicuro un valore ce l’ha: ed è a partire dal valore, delle cose e delle persone, che si ridisegna il futuro.

 

Alessandro Cola

 

 

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