Agire ed essere, pensare e fare il cambiamento di noi stessi nel mondo è la fatica quotidiana di ogni persona umana dotata di buoni propositi e spirito critico.

La ricerca di coerenza tra azione e desiderio, tra mezzi e fini non finisce mai, è un percorso costante di perfezionamento del proprio stare al mondo. Fare una cosa senza essere convinti della sua bontà non è una bella cosa! Provoca frustrazioni e dissociazioni mentali. Da qui la famosa esortazione di Mahatma Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Ma – aggiungerei io - non farlo da solo!

Le energie che muovono il mondo sono prima di tutto le motivazioni personali. Le “risorse interiori” che fanno superare la passivizzazione e l’omologazione sono l’amore, la generosità, il dare… Ci sono tante tipologie di rapporti tra le persone che determinano “il clima relazionale” di una comunità. Possono essere paritarie, solidali, reciproche, mutualistiche, cooperanti.  Oppure di dominio, violente, possessive, gerarchiche.

Non dobbiamo farci sviare dalle frasi sibilline ad effetto che ci incitano ad intraprendere una lotta solitaria di tutti contro tutti (nel solco dell’ “individualismo metodologico”), del tipo: “accetta le sfide rischiose”,  “sii aggressivo”, “sii un self-made man”, “sii imprenditore di te stesso” e così via. 

Un processo positivo di cambiamento/trasformazione sociale, rivolto al bene comune, avviene attraverso uno sforzo collettivo. Una convergenza di volontà capaci di creare un contesto relazionale generativo di beni e di servizi utili per chi li produce, per gli altri, per la Terra “casa comune”.  Così si fa la buona “impresa sociale”, o come altro la si voglia chiamare: associazione, cooperativa, Ong, gruppo informale, “ente” dell’economia ecosolidale. La “responsabilità sociale” allargata dell’impresa è ormai considerata un requisito indispensabile per invertire la corsa dell’umanità verso la catastrofe ecologica e sociale. 

Su questi principi generali siamo (quasi) tutti d’accordo. Ma ci sono idee diverse su quali possano essere i modi più efficaci per raggiungere la sostenibilità ambientale e sociale degli apparati produttivi, distributivi di consumo. 

L’Economia sociale solidale (Solidarity Social Economy) è stata così descritta da un paper interagenzie delle Nazioni Unite: “SSE si riferisce alla produzione di beni e servizi da parte di un ampio spettro di organizzazioni e imprese che si sono date espliciti obiettivi sociali e, spesso, anche ambientali. Sono guidate da principi e pratiche di autogestione cooperativi, solidali, etici e democratici” (Social and Solidarity Economy and the Challenger of Sustainable Development, 2014). La Rete intercontinentale Ripess ha scritto che: “L’economia sociale solidale mira a trasformare il sistema economico e sociale  includendo i settori pubblico, privato e il terzo settore”.

Anche nel nostro paese vi è una miriade di esperienze che si collocano nel grande campo dell’economia eco-solidale e trasformativa. Un tessuto di molteplici organizzazioni di piccoli produttori indipendenti, di laboratori autogestiti, di generazione distribuita di energia da fonti rinnovabili, di coltivatori, trasformatori e distributori di prodotti dell’agricoltura biologica, di servizi finanziari e sistemi di scambio non monetari, di welfare di prossimità, di servizi ambientale e altro ancora. Molte cominciano ad essere le ricerche in questo campo. Tra queste, la mia inchiesta: 101 Piccole rivoluzioni. Storie di economia solidale e buone pratiche dal basso, edito da Altreconomia.

 

Paolo Cacciari

 

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