Le somme erogate da un'organizzazione di volontariato (di cui alla Legge n. 266/91) ai propri volontari devono essere riqualificate come compensi in assenza della dimostrazione che si è trattato di rimborsi spesa?

Per rispondere a questa domanda segnaliamo l'originario avviso di accertamento del 2008 con il quale l'Agenzia delle Entrate, previa riqualificazione delle somme erogate da un'Associazione ai propri associati come compensi invece che come rimborsi spese, recuperava a tassazione la relativa ritenuta alla fonte. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, poi, riformando la sentenza di primo grado, aveva sostenuto che le somme de quibus dovevano considerarsi rimborsi di spese effettivamente sostenute dai volontari, e non compensi, “sia per l'esiguità della somma annua corrisposta sia per le modalità di pagamento”. L’Agenzia delle Entrate si è opposta alla decisione della Commissione Tributaria Regionale presentando ricorso per cassazione, e questo è stato accolto. La Corte di Cassazione ha poi emanato una sentenza, la n. 23890/2015, depositata il 23 novembre 2015, che è il riferimento ad oggi in materia.

 
Quadro normativo di riferimento
La Legge n. 266/91 - Legge quadro sul volontariato – nel disciplinare all’art. 2, l’attività di volontariato dispone:
1. Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.
2. L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.
3. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.
 
Come si legge nella citata Sentenza: “la disposizione in commento (art. 2, comma 2) tende a garantire che i rimborsi spese non mascherino l'erogazione di compensi, ossia, in definitiva, che il rapporto associativo non mascheri un rapporto di lavoro (si veda, sul punto Cass. Sez. Lav. nn. 12964/08, 10974/10, 9468/13) e a tal fine prescrive che i rimborsi a ciascun singolo volontario, per un verso, siano connessi a "spese effettivamente sostenute" - il che risulta intrinsecamente incompatibile con la determinazione dell'entità del rimborso con criteri forfettari - e, per altro verso, rientrino in "limiti preventivamente stabiliti". Quest'ultima prescrizione, nella prospettiva teleologica fin qui delineata, non può che essere letta nel senso che - fermo il limite costituito dalla documentabilità delle spese per le quali viene erogato il rimborso - al singolo volontario non possono erogarsi rimborsi illimitati, ma solo rimborsi contenuti in limiti individuali quantitativi e/o qualitativi (per tipologia di spesa) preventivamente individuati da parte degli organi deliberativi dell'associazione”.
 
Un ruolo centrale nella Sentenza in argomento, ma più in generale nella qualificazione sostanziale della natura dei rimborsi spese ai volontari, è rappresentato dalle seguenti considerazioni:

  • non possono essere considerati rimborsi di spese  e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione:
  1. gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori. Non sono ammissibili rimborsi forfettari, ossia senza documentazione a supporto delle spese per le quali possono essere erogati. Ciò implica, sul piano probatorio, che grava sulla parte contribuente che contesti la pretesa erariale (associazione, per quanto riguarda la ritenuta alla fonte, ed associato, per quanto riguarda l'intero prelievo IRPEF) l'onere di documentare il sostenimento delle spese di cui le somme erogate dall' associazione costituirebbero specifico rimborso;
  2. gli esborsi erogati dall'associazione di volontariato ai propri associati qualora gli stessi eccedano "i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse". Considerazioni legate alla ratio legis - orientata a garantire la genuinità della natura volontaristica dell'attività degli associati - inducono a ritenere che detti limiti siano riferibili a previsioni relative a massimali di rimborso per singolo associato (complessivi o frazionati in tipologie di spese,come, ad esempio, trasporti o indumenti o telefonia).
  • Non ha alcuna rilevanza in merito alla corretta qualificazione come rimborsi spesa:
  1. l'esiguità delle somme erogate
  2. le relative "modalità di pagamento"
  3. l'entità della posta iscritta nel bilancio preventivo dell'associazione per i rimborsi spese agli associati.

Dunque la regola generale è che non si possano pagare i volontari e che i rimborsi che possono essere loro riconosciuti si limitino ai costi effettivamente sostenuti e certificati.

Con la Riforma, è stata però introdotta una disposizione (art. 17, c 4, D Lgs 117/17) che prevede la possibilità di riconoscere ai volontari rimborsi fino a 10 euro al giorno per un massimo di 150 euro al mese per quei costi che seppur sostenuti i volontari non riescono a dimostrare.

Ciò è possibile però solo se il Consiglio Direttivo lo accetta (e deve prima deliberare sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso) e se il volontario presenta una autocertificazione nella quale dichiara, a pena di querela per dichiarazioni false (483 cp, fino a 2 anni di reclusione), di aver realmente sostenuto determinate spese.

 

Fonte: Cvs, Forum del Terzo Settore, ItaliaNonProfit e Paolo Duranti

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