Che la povertà educativa sia ancora strettamente legata alla povertà economica non è una novità. Che nel 2021 i dati siano quelli riportati nel report nazionale sull'adolescenza, promosso da Openpolis e Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, è qualcosa che ci deve far riflettere.

Il nesso tra povertà educativa e povertà economica è ciò che impedisce a bambini e ragazzi di avere accesso alle opportunità che potrebbero garantire una crescita sana.
La cultura e l'istruzione, da sempre millantati strumenti atti a rendere l'uomo libero, a mobilitarlo, a renderlo capace di liberarsi dalla propria condizione di partenza per andare oltre, per cercare un futuro migliore, appaiono come un paesaggio distante, un discorso quasi estemporaneo rispetto al quadro illustrato nel rapporto. Il profilo è piuttosto quello di un'Italia in cui è ancora determinante dove nasci, in che posto vivi, la condizione sociale della famiglia.  Tutti fattori che mettono in correlazione molti aspetti, dall’origine sociale e familiare ai livelli negli apprendimenti; dalle prospettive nel territorio in cui si abita all’impatto dell’abbandono scolastico.

Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per chi proviene da una condizione più svantaggiata, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente. Questi dati ci dicono come la condizione sociale si trasmetta di generazione in generazione. Nascere in una famiglia con meno opportunità da offrire significa generalmente partire già svantaggiato anche sui banchi di scuola. 
L’abbandono scolastico prima del tempo, più frequente dove ci sono fragilità sociali, è l’emblema di un diritto alla scelta che è stato compromesso. E spesso non è che la punta dell’iceberg: dietro ogni ragazzo e ragazza che lascia la scuola anzitempo ci sono tanti fallimenti educativi che non possono essere considerati solo problemi individuali o delle istituzioni scolastiche. È un fallimento imputabile all'intera comunità educante - agenzie educative del territorio, in primis la scuola e la famiglia, ma anche  istituzioni e mondo del terzo settore - che deve avvertire la responsabilità e la necessità di intraprendere un percorso comune per aiutare bambini, ragazzi e giovani a diventare destinatari e protagonisti del proprio futuro.

Un' altra evidenza interessante che emerge dal rapporto riguarda la relazione inversa tra la quota di giovani che non studiano e non lavorano (neet) nelle grandi città italiane e gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare). I giovani che non lavorano e non studiano spesso si concentrano nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate.
A Napoli, i 10 quartieri con più neet in ben 8 casi compaiono anche nella classifica delle 10 zone con più famiglie in disagio. A Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet rispetto alla zona di corso Buenos Aires. A Roma, a Torre Angela la quota di neet è oltre il doppio del quartiere Trieste. 
Il livello di istruzione, di competenze e conoscenze è strettamente collegato anche alle possibilità di sviluppo di un territorio. Nei test alfabetici l’87% dei capoluoghi del nord Italia presenta un risultato superiore alla media italiana. Nell'Italia meridionale e centrale la quota di comuni che superano questa soglia scende rispettivamente al 25% e al 36%. Un dato che, oltre a confermare i profondi divari territoriali tra gli adolescenti italiani, sembra essere legato alla quota di famiglie in disagio nelle città.

“Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali – ha commentato Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il fulcro di qualsiasi ripartenza. Non dovremmo criminalizzarli, come spesso accade, per alcuni comportamenti devianti o relegarli ad un ruolo passivo. Credo fortemente che siano una generazione migliore, hanno dimostrato grande senso di responsabilità, dovrebbero partecipare attivamente alle scelte che incidono sul futuro loro e, di conseguenza, del Paese. Dobbiamo loro - conclude Rossi-Doria - grandi opportunità”. 

L'auspicio dunque non è solo quello di garantire a tutti i bambini, ragazzi e giovani l’accesso a un’educazione di qualità, ma anche quello che la comunità educante sia capace di trasmettere ai ragazzi un desiderio di rivalsa, come stimolo, come obiettivo, che li spinga a credere di conseguenza nel potere dell'istruzione. Educare i ragazzi alla caparbietà e alla tenacia è forse ciò che può insegnare loro a essere il cambiamento che chiedono al mondo.

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