Questa settimana per la raccolta che stiamo curando in collaborazione con il Master Promotori del Dono dell'Università dell'Insubria, vi presentiamo un articolo molto interessante che ci fa riflettere sul vero significato attorno alla parola fundraising, che no, non vuol dire semplicemente "raccolta fondi"! Ce ne parla Luciano Zanin.

Che sia uno stereotipo il racconto che gli italiani sanno poco l’inglese? O che sia oramai venuto il tempo di toglierci anche da questo luogo comune. È pur vero che, come l’ISTAT (istituto Italiano di Statistica) ci racconta, siamo un popolo che tende ad essere “vecchio”, l’inverno demografico così chiamato sembra essere cominciato tanto tempo fa e pure essere destinato a durare ancora per molto tempo, considerato che qualunque iniziativa si prendesse anche oggi stesso, avrebbe bisogno di un paio di decenni per far sentire in modo significativo i propri effetti.

Andando in giro per il nostro Bel Paese e incontrando molte persone più o meno attive nel mondo del Non profit (altro vocabolo inglese che altro non significa che “non a scopo di lucro”) l’idea che le parole inglesi non siano di così comune comprensione sembra abbastanza confermata.

Se poi, a questo, uniamo pure il fatto che le traduzioni non sono nemmeno sempre così aderenti al significato che le parole hanno nel paese di origine, allora forse è il caso di ritornarci su, e spesso.

Fundraising viene tradotto con “raccolta fondi” e questo, se da una parte non è sbagliato, dall’altra non è nemmeno corretto. In realtà sappiamo che il verbo “to raise” si può tradurre con “sollevare” mentre se si prova a digitare “raising” in google translate, vi apparirà la parola “innalzare”. Se, ancora si digita “fund” viene tradotto con “finanziare”. Se invece si scrive “fundraising” apparirà, “raccolta fondi” che non ha lo stesso significato di “finanziare per innalzare”, ma richiama direttamente la raccolta di denaro, e non il senso che questo può assumere in determinate situazioni.

Quindi sì, è ancora necessario, o quantomeno utile, ritornare sul concetto che il fundraising non è mera raccolta di denaro, ma invece è l’elaborazione di proposte per potenziali donatori che si spera diventino poi effettivi, che desiderino attivarsi e donare (parola magica) qualcosa che è nella loro disponibilità.

Si potrebbe trattare di denaro, ma non solo, perché c’è anche il dono del tempo (volontari), c’è il dono della conoscenza, il dono delle relazioni. Quindi il denaro è una delle “cose” che possono transitare da un soggetto che le possiede ad un altro che ne ha bisogno o che le utilizzerà per soddisfare dei bisogni che lo stesso donatore ritiene meritevoli di sostegno.

Il termine fundraising, quindi, si presenta più come una stella binaria (coppia di stelle caratterizzate da un legame fisico gravitazionale tra loro e che formano quindi un sistema) dove le due entità indissolubili sono il dono (strumento) e il donatore (soggetto), che un sistema solare con al centro una sola stella: il denaro.

Il fundraising è quell’insieme di azioni che un soggetto mette in campo per attivare risorse che siano disponibili per chi ne ha bisogno, sia queste singole persone o comunità, è il modo attraverso il quale si fa funzionare quello strumento straordinario che è il DONO, che permette alle comunità di rimanere coese, di procurarsi quello che hanno bisogno per rispondere alle loro stesse necessità.

Ecco perché il fundraising, quindi la diffusione della pratica del dono, è così necessaria, perché senza questa la vita di tutti sarebbe peggiore. Ed è per questo motivo che le organizzazioni che non hanno scopo di lucro dovrebbero considerare questa attività come un dovere morale, rientrante a pieno titolo nella missione di ogni forma di organizzazione che abbia a cuore il destino delle proprie comunità e dell’umanità intera. 

Quindi, si può scrivere come si preferisce, in inglese o in italiano, ma c’è un unico modo per leggerlo: DONO.

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