Relativamente alle OdV, l'art. 2, comma 2, della legge 266/91 dispone che “Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall'organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”.

Al riguardo, con l'ordinanza n. 21503/2025, depositata lo scorso 26 luglio, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha precisato quanto segue:

1. la prima parte della norma citata dispone che non possono essere considerati rimborsi di spese - e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione - gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori. Di conseguenza, grava sulla parte contribuente che contesti la pretesa erariale (associazione, per quanto riguarda la ritenuta alla fonte, associato, per quanto riguarda l'intero prelievo IRPEF) l'onere di documentare il sostenimento delle spese di cui le somme erogate dall'associazione costituirebbero specifico rimborso;

2. la seconda parte della disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese - e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione - gli esborsi erogati dall'associazione di volontariato ai propri associati qualora gli stessi eccedano "i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse". In merito a questo disposto, si ritiene che i limiti iscritti nel bilancio preventivo siano riferibili a previsioni relative a massimali di rimborso per singolo associato (complessivi o frazionati in tipologie di spese, come ad esempio trasporti o indumenti o telefonia) e non all'entità della posta iscritta nel bilancio preventivo dell'associazione per i rimborsi spese agli associati. Tale conclusione sarebbe confermata da un lato dal rilievo che nell'incipit della disposizione si legge: “al volontario”, al singolare, e non “ai volontari”, e dall'altro lato dalla considerazione che lo scostamento tra bilancio preventivo e bilancio consuntivo “può fisiologicamente derivare da eventi gestionali non previsti all'inizio dell'esercizio che diano luogo a spese legittimamente disposte dagli organi amministrativi dell'associazione, previamente autorizzate o successivamente ratificate dall'assemblea”;

3. in sostanza, l'art. 2, comma 2, della legge 266/91 tende a garantire “che i rimborsi spese non mascherino l'erogazione di compensi, ossia, in definitiva, che il rapporto associativo non mascheri un rapporto di lavoro” (in tal senso, Cass. nn. 12964/08, 10974/10, 9468/13) e a tal fine prescrive che i rimborsi a ciascun singolo volontario, per un verso, siano connessi a “spese effettivamente sostenute” - il che risulta incompatibile con la determinazione dell'entità del rimborso con criteri forfettari - e, per altro verso, rientrino in “limiti preventivamente stabiliti”.

Per la Cassazione, quindi, “per evitare che il rapporto associativo mascheri un rapporto di lavoro, non possono considerarsi rimborsi spese, e vanno dunque qualificati come compensi soggetti a tassazione, gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfetario, ossia non collegati a spese specificamente individuate e documentate” (Cass. 5 ottobre 2018, n. 24451; 25 novembre 2015, n. 24090).

Si ricorda che in materia è successivamente intervenuto il Codice del Terzo Settore.

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