Dei cambiamenti del “lavoro” si è parlato molto negli ultimi anni, in questo articolo poniamo l’attenzione al nesso tra “lavoro” e “organizzazione” e poniamo alcuni interrogativi e riflessioni su quali forme potrà assumere nel futuro questa interazione in movimento.

Il binomio “organizzazione-lavoro” rimane al centro della nostra attenzione. Il lavoro si svolge sempre all’interno di contesti organizzati—purché non si confonda questo concetto con la sola azienda. L’occasione per questa riflessione nasce dal vivace dibattito sul lavoro e dalla recente normativa sulla partecipazione dei lavoratori (Legge 15 maggio 2025, n.76).

In questo momento, il rapporto tra “lavoro” e “organizzazione” è sotto forte pressione, anche a causa dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Sta avvenendo una trasformazione profonda della cultura del lavoro: si sta ridefinendo il legame tra “essere umano” e “lavoro”. I protagonisti di questa evoluzione sono i giovani, seguiti comunque con interesse anche dai meno giovani.

Questa trasformazione assume forme diverse, e proprio per questo è difficile delineare una direzione univoca. Il mondo del lavoro resta multiforme. Tuttavia, possiamo identificare alcune tendenze: una maggiore attenzione all’equilibrio tra vita privata, condizioni organizzative e lavoro, e un senso di appartenenza più fluido e meno duraturo, a prescindere dalle condizioni contrattuali. Come queste tendenze si traducono in scelte personali e stili di vita dipende da molteplici fattori: il risultato è una crescente varietà e variabilità di biografie professionali.

Occorre distinguere tra mutamenti nella sfera culturale-identitaria e le scelte relative alle traiettorie di vita lavorativa e fare attenzione: è facile cadere nella trappola dell’omologazione e della spinta ad un nuovo conformismo. Non esiste “il giovane” in quanto categoria uniforme. Non tutti operano nelle funzioni di “staff” (dove a differenza del “line” è possibile gestire la “presenza” sul lavoro con maggiore), non tutti sono laureati e non tutti possono permettersi il lusso di perdere qualche “treno”. Per molti, il lavoro rimane ancora un “ascensore sociale” (o come preferisce qualcuno, una “scala”).
Qui però è interessante, come sempre, osservare le nuove tendenze in crescita, seppur rappresentate da una fascia specifica che ha maggiori possibilità, perché come sempre è accaduto le tendenze corrispondono anche a un movimento culturale che in un modo o nell'altro tocca, condiziona, interroga e in qualche maniera influisce sulle scelte di tutti, anche di chi in questo ne è escluso.

Riguardo ai cambiamenti che devono prendere forma all’interno dei contesti organizzati affinché possano adeguarsi al nuovo modello di lavoro che avanza sembra che ci sia maggiore convergenza. Elaborare nuovi sistemi premianti, culture organizzative, modelli di coinvolgimento e di motivazione, diversity management, legalità (basti vedere oltre il dibattito in corso, la relativa normazione e gli standard certificativi oppure di recente anche il “Manifesto del buon lavoro” della cdo nonché la già citata legge n.76/25). 

Ma c'è un aspetto che merita più attenzione: la natura inter-indipendente del rapporto tra organizzazione e lavoro, e il tipo di know-how che ne deriva. Per comprenderlo, è utile pensare all’organizzazione non come una struttura statica, ma come un processo. Un processo che si nutre della relazione simbiotica con il lavoro e delle micro-decisioni quotidiane delle persone. Il cuore pulsante di qualsiasi contesto organizzato è proprio la generazione, diffusione e valorizzazione del sapere organizzativo e professionale.

Le forme di lavoro basate su una presenza ridotta, una debole identificazione, e una mancanza di responsabilità o riflessione—atteggiamenti legati all’idea che “la vita sia altrove” o che “si è solo di passaggio”—riescono ancora a produrre quel know-how indispensabile per la sopravvivenza organizzativa? Oppure rischiamo di entrare in una nuova forma di neo-taylorismo, dove il lavoratore diventa semplice utilizzatore di saperi creati da altri (algoritmi e IA inclusi)?
I modelli organizzativi basati su responsabilizzazione, autonomia e decentramento (che certo non costituiscono una novità) come dovranno evolvere?

La vera sfida non è solo creare pratiche di welfare aziendale accattivanti. Pensiamo che siano poco efficaci per contrastare il fenomeno della retention. I lavoratori si conquistano, non si comprano con bonus. Ma su questo concetto ci viene in aiuto l'etimologia di un termine quanto mai attuale oggi, “coinvolgimento”. Coinvolgimento infatti deriva dal latino ed è formato da tre termini che devono obbligatoriamente convivere insieme che sono partecipare (termine rivolto e richiesto alla persona da coinvolgere) e avvolgere/trascinare (termini invece rivolti e richiesti al soggetto che coinvolge).

Il compito è quindi più ambizioso: inventare nuove forme organizzative capaci di generare know-how e innovazione, con persone che modificano radicalmente il modo in cui vivono le organizzazioni. Non è una questione di quantità, ma di qualità della presenza. E solo la qualità della presenza può tenere in piedi l'efficacia di nuove forme di lavoro che avranno sempre più relazioni “a tempo”, investimenti a termine e quindi spazi temporali compressi da valorizzare velocemente e rendere subito produttivi per tutti.

E in tutto questo non può non essere evidenziata una ulteriore tendenza dell'approccio al lavoro e di conseguenza alla relazione con l'organizzazione che è la variante “ritmo”. L'idea che nel lavoro l'intensità possa e debba esserci ma che a questa intensità sempre di più sia chiesto di trovare un equilibrio con lentezza, pause, rallentamenti è un ulteriore affascinante sfida organizzativa.
Il rapporto tra organizzazione e lavoro si avvia verso una traiettoria di sviluppo avvincente, nella quale anche l’Intelligenza Artificiale avrà un ruolo chiave.

Carlo Andorlini
Theofanis Vervelacis

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